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VATICANO
tratto dal n. 09 - 2005

Intervista con il cardinale José Saraiva Martins

Beati tra il loro popolo


Da adesso in poi, di norma, le beatificazioni non si celebreranno più a Roma, ma nelle diocesi che hanno promosso la causa di beatificazione, o in altre località ritenute idonee. Spiega il prefetto della Congregazione delle cause dei santi: «Il fatto che le nuove norme stabiliscano maggiore coinvolgimento delle Chiese locali è pastoralmente stupendo»


Intervista con il cardinale José Saraiva Martins di Gianni Cardinale


Il cardinale José Saraiva Martins presiede la celebrazione per la beatificazione delle serve di Dio 
Ascensión Nicole Goñi e Marianne Cope, Basilica di San Pietro, 14 maggio 2005

Il cardinale José Saraiva Martins presiede la celebrazione per la beatificazione delle serve di Dio Ascensión Nicole Goñi e Marianne Cope, Basilica di San Pietro, 14 maggio 2005

Una delle prime novità introdotte da Benedetto XVI è stata quella che il Papa, di norma, non presiederà alle cerimonie di beatificazione ma solo a quelle di canonizzazione. In realtà più che di una novità vera e propria si tratta di un ritorno all’antico, alla prassi cioè seguita negli ultimi secoli e fino al 1971. Questa importante decisione papa Ratzinger l’aveva presa in occasione dei riti di beatificazione che si sono celebrati in San Pietro lo scorso 14 maggio quando la cerimonia è stata presieduta “de mandato Summi Pontificis” dal prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Ma solo lo scorso 29 settembre L’Osservatore Romano ha pubblicato con ampio risalto in prima pagina una “Comunicazione”, in latino e italiano, con cui la stessa Congregazione ufficializza e formalizza le “nuove disposizioni” che regolano le cerimonie con cui vengono innalzati agli onori degli altari i nuovi beati.
Sull’argomento 30Giorni ha posto alcune domande al cardinale José Saraiva Martins, portoghese, dal 1998 prefetto della Congregazione delle cause dei santi.

Eminenza, quali sono i contenuti di questa “Communicatio”?
JOSÉ SARAIVA MARTINS: È molto semplice. Per certi versi più che di novità si tratta di un ritorno alla prassi seguita dal 1662 al 1971, quando non era il papa a presiedere la cerimonia di beatificazione. Inoltre si ribadisce che la beatificazione rimane sempre un atto pontificio che però viene presieduto da un suo rappresentante, che di norma è il prefetto della Congregazione delle cause dei santi.
Le cerimonie di beatificazione dove si celebreranno?
SARAIVA MARTINS: In passato questo tipo di celebrazioni si celebravano di norma a Roma, da adesso in poi le beatificazioni si celebreranno nelle diocesi che hanno promosso la causa di beatificazione, o in altre località ritenute idonee.
Ma rimane la possibilità che il rito sia celebrato a Roma?
SARAIVA MARTINS: Sì, rimane, ma solo se lo chiedono con valide motivazioni il vescovo e gli attori della causa di beatificazione e dopo il benestare della Segreteria di Stato.
Buona parte delle beatificazioni previste per questo ottobre e per novembre si svolgeranno comunque a Roma…
SARAIVA MARTINS: È vero, ma nella maggior parte dei casi si tratta di riti stabiliti prima dell’entrata in vigore delle nuove norme.
Quali sono le ragioni che hanno indotto papa Benedetto XVI a questa novità, che poi in realtà è un ritorno all’antico?
SARAIVA MARTINS: Si tratta, come recita la nostra Comunicazione, di disposizioni dettate da “ragioni teologiche” e da “esigenze pastorali”. Il fatto che le nuove norme stabiliscano maggiore coinvolgimento delle Chiese locali infatti è pastoralmente stupendo. È un bene che tutta la comunità locale, e non solo quelli che potrebbero recarsi a Roma, si riunisca e celebri la salita agli altari di un suo membro. È una occasione privilegiata di catechesi.
Quali sono le “ragioni teologiche” di questi cambiamenti?
SARAIVA MARTINS: Le ragioni teologiche riguardano la necessità di tenere distinte le cerimonie di beatificazione da quelle di canonizzazione. Una necessità che questo dicastero ha sempre cercato di evidenziare. Pur essendo entrambi degli atti pontifici – e questo è sempre bene tenerlo a mente –, con le beatificazioni il papa concede che localmente o limitatamente a determinate famiglie religiose venga esercitato il culto pubblico a un servo di Dio, mentre con le canonizzazioni il beato viene dichiarato santo e il culto diventa obbligatorio per tutta la Chiesa. A questo si deve aggiungere, come ho scritto nel commento che ha accompagnato sull’Osservatore Romano del 29 settembre [p. 7, ndr] la pubblicazione della “Communicatio”, che nelle canonizzazioni la Chiesa agisce «con pronunciamento a carattere decretorio, definitivo e precettivo per tutta la Chiesa impegnando il Magistero solenne del romano pontefice». Mentre per le beatificazioni questo non avviene.
Eminenza, alcuni teologi ritengono che anche nelle canonizzazioni non sia impegnato il Magistero infallibile della Chiesa…
SARAIVA MARTINS: Si tratta di opinioni teologiche, a dire il vero non molto diffuse, che però non rappresentano la posizione ufficiale della Chiesa. A questo proposito è bene ricordare che quando nel 1998 venne promulgato il motu proprio di Giovanni Paolo II Ad tuendam fidem, in una annessa “Nota dottrinale illustrativa”, firmata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, tra «le dottrine proposte dalla Chiesa in modo definitivo» vennero esplicitamente citate «le canonizzazioni dei santi» insieme a: l’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini, l’illiceità dell’eutanasia, l’insegnamento sulla illiceità della prostituzione e della fornicazione, la legittimità dell’elezione del sommo pontefice o della celebrazione di un concilio ecumenico, la dichiarazione di Leone XIII sulla invalidità delle ordinazioni anglicane.
Sempre per sottolineare maggiormente la differenza tra beatificazione e canonizzazione è prevista la composizione di un apposito Ordo beatificationis et canonizationis?
SARAIVA MARTINS: L’ufficio delle cerimonie liturgiche del sommo pontefice, insieme a questo dicastero e alla Congregazione per il culto divino, sta già lavorando per questo. Il fine è quello di far risaltare le differenze tra le due celebrazioni e anche proporre un modello sostanzialmente uniforme di rito per le beatificazioni che verranno celebrate in varie parti del mondo.
Il cardinale Joseph Ratzinger in passato è sembrato auspicare un numero più sobrio di nuovi beati e santi. Dobbiamo attenderci che papa Benedetto XVI possa, in questo caso, portare avanti l’auspicio formulato a suo tempo dal cardinale Ratzinger?
SARAIVA MARTINS: Finora non ci sono segnali in questo senso. La nostra Congregazione ha circa duemila cause in lista d’attesa e sono già pronte 400 positio da esaminare. Il lavoro procede regolarmente così come si è svolto in questi ultimi anni.
Eminenza, permette alcune domande sullo status di alcune cause di beatificazione che sono seguite con particolare attenzione da molti fedeli?
SARAIVA MARTINS: Vediamo.
Come procede la causa di Giovanni Paolo II?
SARAIVA MARTINS: Secondo le norme. Dopo che papa Benedetto XVI ha concesso l’indulto di non aspettare i cinque anni dalla morte, la causa ha iniziato la sua fase diocesana e procede come tutte le altre.
Il cardinale Camillo Ruini durante la cerimonia d’inizio del processo di beatificazione 
di Giovanni Paolo II, Basilica di San Giovanni in Laterano, 28 giugno 2005

Il cardinale Camillo Ruini durante la cerimonia d’inizio del processo di beatificazione di Giovanni Paolo II, Basilica di San Giovanni in Laterano, 28 giugno 2005

Ritiene possibile, come pure è stato invocato, che Giovanni Paolo II sia proclamato beato come martire?
SARAIVA MARTINS: Come è noto possono considerarsi martiri solo coloro che hanno volontariamente effuso il proprio sangue, sono stati uccisi in odium fidei. Non ho dubbi che il servo di Dio Giovanni Paolo II se si fosse trovato inqueste condizioni, avrebbe affrontato con coraggio la prova del martirio. Ma, allo stato dei fatti, non credo che queste condizioni si siano effettivamente verificate.
A proposito di martirio. Durante il Grande Giubileo del 2000 è stata fatta una notificazione in cui si ricordava che il termine “martire” doveva essere attribuito solo a coloro cui la Chiesa, dopo un processo del vostro dicastero, aveva attribuito questo titolo. E che agli altri poteva essere attribuito il titolo di “testimoni della fede”. Questa distinzione rimane ancora valida?
SARAIVA MARTINS: Certamente sì, in questo caso non ci sono stati cambiamenti. Usare il termine martire per chi non è stato riconosciuto tale dalla Chiesa rimane un deprecabile abuso.
A che punto è la causa di Pio XII?
SARAIVA MARTINS: Ormai non è un mistero che la Positio super virtutibus è stata completata. A questo punto si attendono le valutazioni dei teologi e il giudizio dei cardinali riuniti in Congregazione ordinaria. Si spera che possano intervenire per il prossimo anno.
Prima dell’estate ha fatto notizia il fatto che era stata sospesa la cerimonia di beatificazione di Leone Dehon perché accusato di antisemitismo. Nella stampa è filtrata la notizia che la Santa Sede ha istituito una commissione per studiare la questione. Questa commissione ha finito i suoi lavori?
SARAIVA MARTINS: Sì, ha finito i suoi lavori. Di più non posso dire. Se non che in questo caso, come in altri, l’interesse della Santa Sede è appurare la verità storica.
Un’ultima domanda riguardo alla figura dell’indimenticato arcivescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero, ucciso mentre celebrava la messa. Il postulatore della causa ha affermato che le riserve espresse dalla Congregazione per la dottrina della fede sono ormai superate e che la causa è tornata al vostro dicastero per seguire l’iter normale…
SARAIVA MARTINS: A oggi non mi risulta.


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