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POLITICA INTERNAZIONALE
tratto dal n. 12 - 2005

Rilanciare Ginevra


Da Srebrenica a Falluja, le guerre moderne sono combattute senza tener conto dei vincoli umanitari imposti dalla Convenzione di Ginevra. Intervista con Vincenzo Buonuomo, docente di Diritto e Organizzazione internazionale all’Università Lateranense di Roma


Intervista con Vincenzo Buonuomo di Davide Malacaria e Pierluca Azzaro


È finita l’epoca della Convenzione di Ginevra? È forse naufragato per sempre il sogno nato alla fine della Seconda guerra mondiale, quando le nazioni riposero nel fodero armi e ideologie per tentare di elaborare una dottrina in grado di porre un freno alle atrocità dei conflitti? I bombardamenti di Falluja sui civili indifesi – con uso, tra l’altro, del fosforo bianco, in grado di sciogliere come cera i corpi umani –, i trasferimenti segreti dei sospetti terroristi e dei prigionieri di guerra, forse in Polonia, Romania e in altri Stati dell’Est per esservi torturati in macabro subappalto, e le altre amenità poste in essere in questa guerra asimmetrica al terrorismo, che in realtà rischia di diventare sempre più simmetrica, non possono non inquietare chi ha davvero a cuore la civiltà occidentale, ma anche la multiforme civiltà orientale. E non far sorgere una domanda: è finito il diritto internazionale e, con questo, ogni diritto umanitario? Tanti, noi con loro, conservano la buona speranza che così non sia. Incontriamo Vincenzo Buonuomo all’Università Lateranense, dove è professore ordinario di Diritto e Organizzazione internazionale presso la Facoltà di Diritto civile, e dove dirige la Scuola di specializzazione in “Studi sulla comunità internazionale”. Da poco ha dato alle stampe Cooperazione e sviluppo: le regole internazionale. A lui giriamo i nostri quesiti sullo stato di salute della Convenzione di Ginevra del 1947, come viene definito quel corpus giuridico formato, in realtà, da quattro distinte convenzioni, volte a tutelare, in tempo di guerra, la popolazione civile, i feriti, i naufraghi e i prigionieri.

Nel messaggio per la pace di fine anno il Papa si è soffermato su quanto afferma il Concilio Vaticano II sul diritto umanitario in tempo di guerra…
Vincenzo Buonuomo: La Gaudium et spes, in sintesi, riafferma che durante una guerra non tutto è permesso: anche in situazioni così tragiche ci sono regole da rispettare… Ecco la funzione del diritto internazionale umanitario.
Sembra che ultimamente questo non sia successo. A Falluja, per esempio, sono stati bombardati i civili.
Buonuomo: A Falluja c’è stata una violazione delle norme del diritto internazionale. Purtroppo non è un caso isolato. Se pensiamo all’uso della forza bellica e alle azioni terroristiche in Iraq anche nel periodo che ha preceduto l’ultimo intervento – i frequenti bombardamenti sui civili, ad esempio –, ci accorgiamo che ripetutamente sono stati violati i principi della Convenzione di Ginevra. Ma dobbiamo ampliare la prospettiva: Falluja ha messo in evidenza come oggi nei conflitti siano disattesi anche i “parametri minimi”, cioè non solo le regole della Convenzione di Ginevra, ma anche quei principi di carattere etico-morale, i cosiddetti principi inderogabili, di ius cogens, che si presumono essere alla base dei comportamenti, delle relazioni umane, di una coscienza matura della comunità internazionale, validi anche nelle situazioni di conflitto. Penso ad esempio all’uso indiscriminato della violenza, o di mezzi che procurano sofferenze inutili, alla scelta di obiettivi “non bellici” nell’uso di armi letali.
Perdoni se insistiamo su Falluja, ma, tra le altre cose, in quella città è stato usato il fosforo bianco che, al di là delle giustificazioni più o meno fantasiose – sarebbe stato usato come luminaria –, è vietato dalla Convenzione di Ginevra. Quando questo crimine è venuto alla luce, qualcuno affermò, come giustificazione, che gli Usa non avevano ratificato il protocollo che vieta l’uso di quel tipo di armi…

Buonuomo: Il riferimento è al 3º protocollo – che interdice l’uso di armi incendiarie – del Trattato di Ginevra siglato nel 1980, sulla proibizione o limitazione di impiego di armi convenzionali che arrecano sofferenze inutili o colpiscono in modo indiscriminato. Va però tenuto presente che le Convenzioni che limitano gli armamenti, come quelle sul diritto umanitario, non contengono soltanto delle norme che creano obblighi agli Stati che le sottoscrivono, ma spesso “codificano” principi e consuetudini già esistenti. Uno Stato può dire di non essere vincolato da un determinato atto (protocollo, convenzione), ma è comunque sottoposto a regole generali e consuetudinarie che la Convenzione di Ginevra o quelle sugli armamenti hanno sintetizzato, e che esistono, cioè sono diritto internazionale, indipendentemente da queste convenzioni. Ciò significa riconoscere la maturazione del diritto internazionale avvenuta nell’ultimo secolo, come pure il suo fondamento. La mancata adesione a una norma scritta non giustifica la violazione dei parametri etico-morali che sono alla base dell’ordine internazionale, altrimenti si arriva alla “legge del più forte”, come ricordava Benedetto XVI al corpo diplomatico presso la Santa Sede il 9 gennaio scorso.
Vuol dire che il diritto umanitario preesiste alla Convenzione di Ginevra?
Buonuomo: Dico che a Ginevra si arrivò a un punto di sintesi, a una codificazione; non fu un’elaborazione ex novo di norme in precedenza inesistenti. Si comincia a parlare di questo tipo di norme già con l’istituzione della Croce Rossa, nel 1863, con la Convenzione sui feriti in guerra del 1864, e poi, per aspetti specifici, nelle Conferenze internazionali della pace che si tennero all’Aia nel 1899 e nel 1907, allo scopo di umanizzare i conflitti e, in particolare, limitare l’uso di certe armi, fonte di sofferenze inutili. Un’esigenza sentita ancora di più dopo l’impiego dei gas nella Prima guerra mondiale. Poi, con la Seconda guerra mondiale e il pesante coinvolgimento dei civili nel conflitto, si è arrivati, nel 1949, alla Convenzione di Ginevra che rappresenta una sorta di risposta della comunità internazionale alla violazione delle norme del tradizionale ius in bello e dei principi etico-morali durante il conflitto. La novità del diritto internazionale umanitario dopo il 1949 sta nel fatto che a tema non c’è tanto la limitazione degli strumenti bellici, ma la protezione della persona umana.

Ma non furono previste sanzioni per chi avesse violato la Convenzione…
Buonuomo: C’era stato lo shock della Seconda guerra mondiale. E c’era la certezza, forse ingenua, che quanto avvenuto non si sarebbe più ripetuto. Si insistette molto sulle cosiddette “garanzie non giuridiche” e cioè su una formazione dell’opinione pubblica, degli stessi militari, come anche sul ruolo delle religioni. Ma poi, purtroppo, ci si accorse presto che quella Convenzione presentava delle lacune: ad esempio, durante il periodo della decolonizzazione, con l’esperienza dei movimenti di liberazione, risultò inadeguata. Per questo si arrivò a elaborare i due protocolli aggiuntivi alla Convenzione nel 1977. Purtroppo le tecniche belliche sono in continua evoluzione e, di conseguenza, le norme per disciplinare le situazioni di conflitto devono continuamente essere aggiornate. Per fare un esempio: le mine antiuomo, così largamente usate nei conflitti moderni, sono state bandite solo con la Convenzione di Ottawa del 1997... E ancora, i drammatici avvenimenti nei Balcani – si pensi a Srebrenica – sono insieme un tragico scacco alla Convenzione di Ginevra e un campanello d’allarme sull’inadeguatezza della stessa. Tutto questo, però, non vuol dire che ci sia un vuoto legislativo in cui tutto è permesso. I principi d’umanità restano validi e applicabili sempre. Il rispetto delle regole durante le guerre non è di oggi, ma appartiene a una sorta di codice che accompagna da sempre l’umanità. Storicamente, il diritto internazionale veniva diviso in due parti: il diritto internazionale “di pace” e il diritto internazionale “di guerra”. Le scuole anglosassoni hanno conservato a lungo questa distinzione…
Ma i trasgressori di queste norme umanitarie non possono subire sanzioni?
Buonuomo: Oggi l’ordinamento internazionale dispone della Corte penale internazionale dell’Aia, competente a sanzionare trasgressioni quali i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il genocidio e l’aggressione. Però la Corte, in genere, può attivarsi solo in modo “complementare” rispetto agli Stati, che sono i primi a dover sanzionare chi viola la Convenzione. Inoltre non tutti gli Stati riconoscono la funzione della Corte, a cui, peraltro, si affiancano dei Tribunali penali ad hoc: per la ex Iugoslavia, il Ruanda, la Sierra Leone e Timor Est.
La semplice adesione all’Onu vincola uno Stato ad alcuni obblighi internazionali di tipo umanitario?
Buonuomo: Direi di più: il solo fatto di essere parte della comunità internazionale significa accettare dei valori universalmente riconosciuti. Benedetto XVI, parlando agli ambasciatori, ha detto questo in modo chiaro: i rapporti internazionali devono essere realizzati secondo giustizia e legalità. La giustizia viene prima della legge. Se poi uno Stato diventa parte di un’organizzazione come l’Onu, che ha il compito di vietare e limitare l’uso della forza, assume dei vincoli conseguenti. Ci sono Paesi che da una parte invocano l’intervento delle Nazioni Unite in situazioni che non li vedono direttamente coinvolti e dall’altra disconoscono gli interventi di questo organismo quando ciò non collima con i propri interessi…
Le Nazioni Unite potrebbero farsi soggetto promotore di un rilancio della Convenzione di Ginevra?

Buonuomo: L’Assemblea generale dell’Onu ha fatto moltissimi richiami agli Stati perché si procedesse a un adeguamento della Convenzione. Inoltre ha fatto pressioni sugli Stati perché prendessero in considerazione i vari progetti di riforma provenienti dal Comitato internazionale della Croce Rossa, organo deputato a questo compito. Ma le Nazioni Unite possono promuovere il rilancio del diritto umanitario anche in altro modo: ad esempio, un mese fa, nell’ambito della riforma dell’Onu proposta da Kofi Annan, è stato istituito un nuovo organo, la Peacebuilding Commission, con il compito di indicare le vie di uscita da un conflitto, con iniziative di ristabilimento della pace. Si tratta in realtà di un organo che, nel monitorare la situazione di un’area di crisi, non potrà non considerare anche le violazioni del diritto umanitario che registra. Un organismo molto utile…
Il rilancio di uno strumento giuridico per limitare le atrocità dei conflitti come la Convenzione di Ginevra, può aiutare a uscire da questo clima di scontro di civiltà causato da opposti estremismi religiosi?
Buonuomo: Certo. Ma vorrei sottolineare che l’ambito in cui nasce la Convenzione di Ginevra ha anche un sostrato religioso. Quando parliamo di principi etico-morali alla base della Convenzione, il riferimento va a valori ripresi dal patrimonio religioso, che fa del rispetto della vita e della persona un punto di partenza. Questo ci permette anche di distinguere tra religione e fondamentalismo religioso, che resta un modo scellerato di intendere il messaggio religioso. I valori che stanno alla base del diritto internazionale umanitario sono comuni a tutte le grandi religioni, e, in particolare, il cristianesimo ha fornito un apporto essenziale con la sua concezione della persona e della sua dignità. Né, poi, si può disconoscere il contributo della Chiesa, degli ordini religiosi e dei cappellani militari per alleviare le sofferenze durante i conflitti. Questo solo per dire che anche oggi, come all’epoca in cui si elaborò la Convenzione, l’elemento religioso non deve essere visto come parte del problema, ma della soluzione.


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