A sessant’anni dalla Mystici Corporis
La distinzione tra Creatore e creatura
A sessanta anni dalla Mystici Corporis. L’attualità dell’enciclica di Pio XII che condanna «il falso misticismo, che falsifica la Sacra Scrittura, sforzandosi di rimuovere gli invariabili confini fra le cose create e il Creatore»
di Lorenzo Cappelletti
In questa pagina, alcuni particolari dell’Ultima cena, Andrea del Sarto, Museo del Cenacolo di San Salvi, Firenze
Passati altri dieci anni e giunti ormai al sessantesimo compleanno della Mystici Corporis, l’invito del cardinale Hamer ora può essere ripreso anche in sua memoria. Non celebrando quel documento come un totem (l’altra faccia del tabù), ma riproponendo la sua complessa genesi storica e richiamando l’attenzione su alcuni aspetti di esso che ci sembrano interessanti per il presente. Da giornalisti.
Essere cristiani significa
diventare Cristo?
Negli anni cruciali della Seconda guerra mondiale, e avendo presente soprattutto la situazione tedesca, la Mystici Corporis nasce con un duplice intento: da una parte, per correggere deviazioni teoriche e pratiche dell’ecclesiologia del Corpo mistico orientate a un biologismo spirituale e a un falso misticismo, dall’altra per evitare che l’urgenza di questa correzione portasse con sé l’abbandono della categoria di Corpo mistico di Cristo su cui si era lavorato intensamente fra le due guerre.
Il culmine della deriva era stato toccato con l’opera di Karl Pelz, un parroco berlinese, che, nel 1939 pubblicava pro manuscripto un testo dal titolo ambiguo: Der Christ als Christus (Il cristiano come Cristo). Ambiguità peraltro già risolta nella premessa, dove Pelz scriveva che «lo studio della nostra incorporazione in Cristo finisce con la constatazione che noi cristiani siamo effettivamente diventati Cristo» (p. 7). Questa verità egli si sentiva spinto a svelarla perché «nostro dovere come sacerdoti è di offrire integralmente ai credenti il contenuto di verità della nostra fede, specialmente in un tempo in cui ciascuno dovrebbe essere in grado, di fronte al violento attacco contro Cristo e la Chiesa, di usare l’intero arsenale di armi della nostra fede» (p. 8). Citando abbondantemente i Padri come mallevadori, egli non fa che ripetere da diverse prospettive che, «secondo i Padri, noi siamo nella carne e nel corpo di Cristo, cioè nella sua santa umanità» (p. 65). E questo in modo assolutamente indipendente dal sacramento del battesimo: «Davvero dobbiamo convincerci del fatto che, secondo i Padri, Cristo per il solo fatto della sua incarnazione si è unito ad ogni uomo» (p. 66).
Negli anni immediatamente successivi, a causa della interpretazione datane da Pelz, diversi teologi giudicarono pericolosa la dottrina del Corpo mistico, chiedendo il ripristino puro e semplice della definizione della Chiesa come societas perfecta, una nozione abbastanza recente, impostasi fra XVIII e XIX secolo, che significativamente san Tommaso non usa – egli parla di communitas perfecta ovvero agostinianamente di civitas (cfr. Summa theologiae I-II, q.90 a.3), concependo la civitas come comprendente la cooperazione col potere politico (regnum). Altrettanto significativamente, la categoria di societas perfecta fu invece ripresa da Karol Wojtyla in un suo intervento al Concilio (cfr. Acta synodalia II/3, 155-156).
Ma torniamo agli anni della guerra. A un certo punto anche l’arcivescovo di Friburgo in Brisgovia Conrad Gröber, già rappresentante dell’episcopato tedesco, pensò di inserire nella sua lettera ai confratelli datata 18 gennaio 1943 (in Die Krise der Liturgischen Bewegung in Deutschland und Österreich di Theodor Maas-Ewerd, Regensburg 1977, pp. 540-569) preoccupate parole sulla questione: «Mi preoccupa il sublime soprannaturalismo e la nuova attitudine mistica che si fa largo entro la nostra teologia e anche entro la nostra giovane Chiesa» (p. 548). Infatti, scrive, «può degenerare in una mistica in cui i confini della creazione svaniscono» (ivi). «La mistica attuale» infatti, aveva detto prima sbrigativamente, non è che «il rovescio della medaglia della moderna gnosi» (p. 544). Anzi, «già si deve deplorare il fatto che, all’interno della gioventù, tipi in un primo tempo assai portati al soprannaturale, si cambino in perfetti miscredenti» (p. 549). Si tratta piuttosto, di fronte a una ignoranza sempre più diffusa, «di richiamare le semplici verità del catechismo e di farle conoscere [...]. È necessario davvero poco, secondo l’insegnamento della Chiesa in fatto di conoscenze religiose formali, per arrivare alla salvezza dell’anima!» (pp. 549-550). In particolare gli sembra una iattura il libro di Pelz, non tanto in sé, ma perché la unio mystica in esso propugnata mette in questione la dottrina sulla grazia e sui sacramenti. Sulla grazia, anzitutto, perché «la grazia santificante appare come qualcosa di superfluo» (p. 550) e si rischia il quietismo. Sui sacramenti, poi, perché «se c’è una tale intimità con Dio e con Cristo, [...] a cosa serve ricevere la santa comunione? Se quel che è necessario già lo abbiamo, non bisognerà certo andare a prenderlo. A cosa serve allora l’altare del santissimo sacramento, a cosa serve la sua conservazione nel tabernacolo, la visita, l’esposizione, le processioni, il raccoglimento, l’adorazione perpetua, se ogni battezzato, fedele “cristoforo”, è incrollabilmente unito a Cristo e perciò è lui stesso ad essere adorabile? Tutto si riduce a puro contenuto simbolico. Quando poi si intenda differenziare la presenza eucaristica da quella mistica di Cristo in noi, comunque, per far salva la presenza mistica, non si penserà possibile il concreto accadere di quello che al fondo è già ritenuto stabilmente presente» (p. 551).
A un certo punto anche l’arcivescovo
di Friburgo in Brisgovia Conrad Gröber, già rappresentante dell’episcopato tedesco, pensò di inserire nella sua lettera ai confratelli datata 18 gennaio 1943 preoccupate parole sulla questione: «Mi preoccupa il sublime soprannaturalismo e la nuova attitudine mistica che si fa largo entro la nostra teologia e anche entro la nostra giovane Chiesa». Infatti, scrive, «può degenerare in una mistica in cui i confini della creazione svaniscono». «La mistica attuale» aveva detto prima sbrigativamente, non è che «il rovescio della medaglia della moderna gnosi»
Gröber prospetta conseguenze infauste: «Il futuro ci dirà dove conduce – nella predicazione, nella catechesi e nella vita cristiana – la svalutazione del Cristo storico, con la sua stupenda vicinanza agli uomini, la sua gloria esemplare e la sua liberante realtà, a favore di un Cristo più sublime che si trova interamente al di là dello spazio e del tempo» (p. 552). Oltre a rinviare ai posteri l’ardua sentenza su questo punto, la lunga lettera di Gröber fa appello però anche a un intervento dei vescovi tedeschi e di Roma: «Possiamo tacere noi vescovi tedeschi, può tacere Roma?» (p. 569).
Ed ecco apparire cinque mesi dopo, per la festa dei santi Pietro e Paolo del ’43, la Mystici Corporis.
La Mystici Corporis
aiuta a distinguere
Se si prescinde da quanto seppur molto sommariamente abbiamo esposto, non si capisce quale concreta situazione l’enciclica abbia presente dall’inizio alla fine.
L’enciclica si apre infatti facendo riferimento al perdurare di antichi errori, ma ha di mira soprattutto il nuovo «falso misticismo, che falsifica la Sacra Scrittura, sforzandosi di rimuovere gli invariabili confini fra le cose create e il Creatore» (n. 9). Quel falso misticismo grava di sospetti la dottrina del Corpo mistico, ma trattandosi di una dottrina rivelata – afferma l’enciclica – non ce n’è motivo. Procedendo con devozione e sobrietà, e se Dio lo dona, come insegna il Vaticano I, la ragione in qualche modo può comprenderla: «Quando la ragione illuminata dalla fede, indaga con pia e sobria diligenza, può raggiungere, concedendolo Iddio, sufficiente ed utilissima intelligenza dei misteri, sia per analogia con ciò che conosce naturalmente, sia per il nesso dei misteri stessi tra di loro e col fine ultimo dell’uomo» (n. 10).
Nelle sue parti centrali, così, l’enciclica spiega che la Chiesa è analoga a un corpo, di più, essa è il Corpo di Cristo e, perché non si equivochi (infatti «tale denominazione non deve essere presa come se quell’ineffabile vincolo con cui il Figlio di Dio assunse un’individua natura umana appartenesse all’intera Chiesa», n. 52), fa sua la nozione di Corpo mistico: «Quest’appellativo deve adoperarsi per varie ragioni, poiché per mezzo di esso si può distinguere il corpo sociale della Chiesa di cui Cristo è capo e guida, dal corpo fisico dello stesso Cristo, che, nato dalla Vergine Madre di Dio, è ora assiso alla destra del Padre in cielo e nascosto in terra sotto i veli eucaristici; e, ciò che maggiormente importa per gli errori moderni, per mezzo di questa determinazione lo si può distinguere da qualunque altro corpo, sia fisico che morale» (n. 58). Questo permette di parlare della inabitazione dello Spirito Santo nelle anime, cioè del modo in cui all’interno del suo mistico Corpo i singoli fedeli sono uniti a Cristo, respingendo «in questa mistica unione ogni modo col quale i fedeli per qualsiasi ragione sorpassino talmente l’ordine delle creature ed invadano erroneamente il campo divino, che anche un solo attributo di Dio eterno possa predicarsi di loro come proprio» (n. 79). D’altra parte la Mystici Corporis, citando la Divinum illud di Leone XIII, spiega che, nell’ordine delle creature, l’unione delle anime con Cristo in paradiso non si differenzia da quella sulla terra se non per la nostra condizione qui di pellegrini (cfr. n. 80). In altre parole non c’è alcuna differenza essenziale fra le anime che sono unite al Signore nella grazia e nella gloria.
L’enciclica invita in conclusione ad avvalersi della dottrina del Corpo mistico esposta in precedenza per «guardarsi dagli errori che, con grande pericolo della fede cattolica e smarrimento degli animi, scaturiscono dalla investigazione, da alcuni arbitrariamente intrapresa, di questa difficile materia» (n. 84). Oltre errori che riguardano la confessione e la preghiera, ribadisce che l’errore è anzitutto quello di chi pretende «unire e fondere in una stessa persona fisica il divino Redentore e le membra della Chiesa» (n. 85). E, in conseguenza di questo, «l’errore di quelli che dall’arcana unione di noi tutti con Cristo si studiano di dedurre un certo insano quietismo [...]. Nessuno certamente può negare che il Santo Spirito di Gesù Cristo sia l’unica fonte donde promana nella Chiesa e nelle sue membra ogni forza superna [tanto è vero che per ben due volte l’enciclica cita Gv 15,5: «senza di me non potete far niente»]. Ma che gli uomini perseverino costantemente nelle opere di santità, che progrediscano alacremente nella grazia e nella virtù, che infine non soltanto tendano strenuamente alla vetta della perfezione cristiana, ma spingano secondo le proprie forze anche gli altri a conseguire la medesima perfezione, tutto questo lo Spirito celeste non vuol compierlo se gli stessi uomini non cooperano ogni giorno con diligenza operosa» (n. 86).
Attrattiva di grazia
e apertura ecumenica
Se dunque sulla questione di fondo posta da Gröber, Roma locuta est nel senso da lui voluto, condannando come contraria alla fede cattolica l’indistinzione fra Creatore e creatura, fra Cristo e il cristiano, e le conseguenze di ordine morale di tale indistinzione, la Mystici Corporis si distacca però dall’analisi e dalle proposte sue e di altri, in quanto da una parte evita di accusare il protestantesimo di essere la scaturigine dei mali lamentati, dall’altra non propone un ritorno puro e semplice alla dottrina della societas perfecta. Con più lungimiranza, l’enciclica già intuisce forse che la deriva protestante non è che una tappa, e neanche obbligata, verso la fusione a un tempo antichissima e modernissima di io e Dio. E capisce che ormai non è solo rivendicando (in ultima analisi in funzione antiprotestante) la natura di societas perfecta della Chiesa, cioè la sua autosufficienza in ordine al raggiungimento dei suoi propri fini, che si offre il contributo decisivo al raggiungimento effettivo di tali fini.
Non è un caso, da questo punto di vista, che l’enciclica si apra e si chiuda facendo appello alla bellezza e alla forza di attrazione come ciò che contraddistingue l’appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Per questo viene esposta la dottrina del Corpo mistico (scrive il Papa al n. 11), «affinché la bellezza della Chiesa rifulga di nuova gloria, affinché si diffonda la conoscenza della singolare e soprannaturale nobiltà dei fedeli congiunti nel Corpo di Cristo col proprio Capo».
Complice la bufera della guerra, si sente nella Mystici Corporis addirittura un certo afflato ecumenico. All’inizio (n.5): «Confidiamo che neppure a coloro che sono fuori del grembo della Chiesa cattolica, saranno ingrate né inutili le verità che stiamo per esporre intorno al Corpo mistico di Cristo. E ciò non solo perché la loro benevolenza verso la Chiesa sembra aumentare di giorno in giorno, ma anche perché essi stessi, mentre osservano le nazioni insorgere contro le nazioni e i regni insorgere contro i regni, e crescere smisuratamente le discordie, le invidie e i motivi di odio, se poi rivolgono gli occhi alla Chiesa e considerano la sua unità d’origine divina (in virtù della quale tutti gli uomini d’ogni stirpe vengono congiunti da fraterno vincolo con Cristo), allora certamente sono costretti ad ammirare questa grande famiglia fomentata dall’amore, e con l’ispirazione e il soccorso della grazia divina vengono attirati a partecipare della stessa unità e carità».
L’apertura ecumenica ritorna alla fine dell’enciclica (n.95): «Unica è la Sposa di Cristo, e questa è la Chiesa: eppure l’amore dello Sposo divino ha tale ampiezza che, senza escludere alcuno, nella sua Sposa abbraccia tutto il genere umano. La causa infatti per cui il nostro Salvatore sparse il suo sangue fu appunto per riconciliare con Dio nella croce tutti gli uomini». Pertanto «anche negli altri uomini, sebbene non ancora a noi congiunti nel Corpo della Chiesa, riconosciamo dei fratelli di Cristo secondo la carne, chiamati con noi alla medesima eterna salvezza».
Se c’è della nostalgia in noi non è tanto per la corposa dottrina della Mystici Corporis, vorremmo dire per paradosso, quanto per questi accenni rispettosi a un tempo della libertà umana e della gratuità della grazia divina: «Affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo, dichiariamo che è assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole», scrive Pio XII citando Agostino. «Per cui, se alcuni non credenti vengono di fatto forzati ad entrare nell’edificio della Chiesa, ad appressarsi all’altare, a ricevere i sacramenti, costoro senza alcun dubbio non diventano veri cristiani, poiché la fede senza la quale è impossibile piacere a Dio deve essere libero ossequio dell’intelletto e della volontà. [...] E poiché gli uomini godono di libera volontà e possono anche, sotto l’impulso di perturbazioni d’animo e di perverse passioni, abusare della propria libertà, è perciò necessario che vengano attratti con efficacia alla verità del Padre dei lumi per opera dello Spirito del suo diletto Figlio» (n. 103).
Per «assecondare» come scrive ancora il Papa «gli interni impulsi della divina grazia» (n. 102), non bisogna fare altro che pregare. E, in questo, lontani e vicini sono accomunati. Infatti,«se ancora molti, purtroppo, vagano lontani dalla verità cattolica, ciò avviene perché né essi né i fedeli cristiani innalzano a Dio più fervide preghiere a tal fine» (n. 104).
come Cristo” a “io sono Te”
Il cardinale Ratzinger, in un libro appena pubblicato dalla Herder col titolo Glaube, Wahrheit, Toleranz. Das Christentum und die Weltreligionen (sta per essere pubblicato in lingua italiana da Cantagalli), che raccoglie suoi interventi sui temi della fede, delle religioni, delle culture e della verità, sceglie come leit motiv dell’intero volume il confronto tra la fede monoteistica, o meglio la comprensione di Dio come persona, e una mistica che in ultima analisi identifica io e Dio.
Trarremo qualche citazione dal primo capitolo e da un “interludio” che lo segue. «In ultima analisi si tratta di vedere se il divino sia Dio, qualcuno che ci sta di fronte – cosicché il termine ultimo della religione sia relazione, amore che diventa unità (“Dio tutto in tutti”: 1Cor 15,28), ma che non elimina lo stare di fronte di io e tu – o se il divino stia al di là della persona e il fine ultimo sia l’unirsi e il dissolversi nell’Uno-tutto».
Naturalmente, spiega Ratzinger, per mistica non si deve intendere «quella forma di pietà religiosa che può trovarsi anche nell’ordine d’appartenenza della fede cristiana», ma quell’esperienza di indistinzione «nell’ultimo stadio della quale il mistico non dirà più al suo Dio: “io sono tuo”, ma “io sono Te”. La distinzione è relegata nella sfera del provvisorio, lo stadio definitivo è la fusione, l’unità».
Ecco riapparire, con una formula diversa, “il cristiano come Cristo” preso di mira dalla Mystici Corporis. Siamo nell’ambito dello stesso problema: la fuorviante interpretazione mistica del cristianesimo.
Le due vie invece differiscono radicalmente: «Nella mistica vige il primato dell’interiorità, l’assolutizzazione dell’esperienza spirituale. [...] Non si dà alcun agire di Dio, ma esiste solo la mistica dell’uomo, la via dei diversi gradi dell’unione».
Per la via monoteistica – che nel cristianesimo esplica pienamente i suoi effetti (ma la filiera abbozzata da Ratzinger è più ampia: «sorse in Israele in forza di una rivoluzione» e «dalla radice d’Israele nel cristianesimo e nell’islam») – «ciò che è decisivo non è l’esperienza spirituale personale, ma la chiamata divina. Allora tutti coloro che riconoscono questa vocazione sono alla fine nella stessa condizione».
Questo può risultare difficile da accettare per la concezione moderna della religione, come lo fu per i Padri, a cominciare da Agostino. Egli, «che aveva scoperto la bellezza della verità nell’Hortensius di Cicerone e aveva imparato ad amarla, trovò la Bibbia, dopo averla presa in mano, indegna della tulliana dignitas». In effetti, «di fronte alla sublimità del pensiero mistico i protagonisti della storia della fede appaiono terra terra. [...] Visti nell’ottica della storia delle religioni, Abramo, Isacco, Giacobbe non sono davvero grandi personalità religiose». Ma questo scandalo non va ridimensionato perché è proprio attraverso di esso che si viene condotti «a quanto di particolare e unico nel suo genere appartiene alla rivelazione biblica. [...] Essa non è primariamente il trovare una verità, ma l’agire di Dio stesso nella storia. [...] Infatti qui all’opposto della mistica è Dio che opera, ed è Lui a dare all’uomo la salvezza». E Ratzinger prosegue citando Daniélou: «Per il sincretismo, le anime salve sono quelle capaci di interiorità, a qualsiasi religione appartengano. Per il cristianesimo salve sono quelle che credono, qualunque sia il loro grado di interiorità. Un piccolo fanciullo, un operaio oppresso dal lavoro, se credono, sono superiori ai più grandi asceti».
Interessante è anche la via fatta balenare da Ratzinger come possibile superamento della palude del sincretismo. Oltre l’onestà, il rispetto e la pazienza necessari in qualunque dialogo, è un gioco di alleanze quello che può favorire l’uscita dallo snaturamento mistico del cristianesimo. Il cristiano deve essere cioè in grado di stabilire una alleanza con la moderna razionalità laica, così come, «all’epoca della Chiesa antica, al cristianesimo era riuscito legarsi in forma abbastanza stretta con le forze illuministiche».
Idee chiare e distinte.