Tratto da ne scelse dodici

San Matteo




SAN MATTEO
Matteo o Levi, come anche viene chiamato nei Vangeli, era un pubblicano, un impiegato (portitor) esattore delle imposte in Cafarnao. Alla chiamata di Gesù si alza di colpo, lascia tutto e lo segue. Della sua vita si sa pochissimo. Viene citato negli Atti degli Apostoli subito dopo l’Ascensione al cielo di Gesù, e nel momento dell’elezione di Mattia al posto di Giuda Iscariota. È uno dei quattro evangelisti: la tradizione della Chiesa, a partire da Papia vescovo di Ierapoli in Frigia verso l’anno 130, è concorde nell’attribuire a Matteo la paternità del primo Vangelo, ritenuto il più antico, e dagli studiosi datato (a seconda dell’interpretazione di quanto afferma Ireneo relativamente a esso) o tra il 42 e il 44 o tra il 61 e il 67 (e in quest’ultimo caso sarebbe posteriore al Vangelo di Marco, che, se a esso appartiene il famoso frammento 7Q5 di Qumran, risulterebbe scritto prima dell’anno 50). La testimonianza di Papia ci è riportata da Eusebio di Cesarea: «Matteo raccolse quindi i detti (del Signore) nella lingua degli ebrei, traducendoli ognuno come poteva» (Storia ecclesiastica, III, 39, 16). Anche quella di Ireneo ci è trasmessa da Eusebio: «Matteo pubblicò tra gli ebrei, nella loro lingua, anche un Vangelo scritto, mentre Pietro e Paolo predicavano a Roma e vi fondavano la Chiesa» (Storia ecclesiastica, V, 8, 2). E scrive ancora lo stesso Eusebio: «Di tutti coloro (gli apostoli e i discepoli che frequentarono il Signore), però, solamente Matteo e Giovanni ci hanno lasciato degli appunti, e anche questi si dice che li scrissero per necessità. Matteo infatti, che predicò in un primo tempo agli ebrei, quando dovette andare anche presso altri mise per iscritto nella madre lingua il Vangelo per i fedeli che lasciava, sostituendo così con la scrittura la sua presenza» (Storia ecclesiastica, III, 24, 5-6). Dunque, mentre gli altri tre Vangeli sono scritti in greco, quello di Matteo è scritto nella sua lingua materna, quasi sicuramente in aramaico, la lingua che allora si parlava in Palestina. E agli ebrei si rivolge la sua prima predicazione. Non possediamo più la versione originale del Vangelo di Matteo, ma solo la sua traduzione in greco; una tradizione riporta che al tempo dell’imperatore bizantino Zenone (474-491), quando a Cipro fu ritrovata dall’arcivescovo Anthemios la tomba di Barnaba, sul suo petto si trovò anche il Vangelo di Matteo scritto di sua mano, che venne poi donato all’imperatore. Vari sono i luoghi di predicazione attribuiti a Matteo: Siria, Macedonia, Irlanda; ma la tradizione antica più consistente riporta la notizia della predicazione di Matteo in Etiopia (cioè nella Colchide, sul Ponto Eusino), accolta anche nel Martirologio Romano che indica lì anche il suo martirio, ricordato nel giorno 21 di settembre. Nello stesso giorno invece il Martirologio geronimiano indica il martirio di Matteo in Persia, a Tarrium, città che però altrove viene indicata in Etiopia: dunque non ci sarebbe contraddizione tra le fonti. Secondo le passioni apocrife e la Leggenda aurea, il martirio di Matteo sarebbe avvenuto di spada mentre celebrava la messa. Esiste poi anche un’altra tradizione minore, riportata da Clemente Alessandrino, che parla per Matteo di morte naturale. Se ignota è comunque la data della sua morte, ignota è anche l’occasione in cui il corpo di Matteo venne traslato in Occidente: una tradizione leggendaria pone questo avvenimento verso il 370 a opera di marinai che lo avrebbero portato dalle coste etiopiche a Velia. Di qui, dopo che la cittadina fu conquistata dei Saraceni nel 412, sarebbe stato trasferito e nascosto in Lucania, in una località detta ad duo flumina presso Casalvelino. Il Martirologio Romano ricorda al 6 di maggio l’arrivo del corpo di Matteo a Salerno dalla Lucania: ve lo avrebbe portato, in quel giorno dell’anno 954, il re longobardo Gisulfo I (946-977). Questa tradizione risale al Chronicon Salernitanum, redatto da un anonimo cronista nel monastero di San Benedetto a Salerno nel 978, e ad altri due testi medievali che con esso concordano. A Salerno le reliquie, di cui si era persa notizia per più di un secolo, furono nuovamente ritrovate nel 1080 e poste nella cripta della Cattedrale consacrata da papa Gregorio VII, dove tuttora riposano. La data del 1080 è storicamente attestata dalla lettera che il 18 settembre di quell’anno il Papa scrisse all’arcivescovo di Salerno Alfano, in cui viene menzionato il ritrovamento. Reliquie minori di Matteo sono note anche a Roma. Una, portata a Roma dal futuro papa Vittore III nel 1050 in dono a Cencio Frangipane, era in un reliquiario d’argento (ora vuoto) che fu trovato durante una ricognizione nel maggio 1924 nel pozzetto sotto l’altare della cripta della chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Si ritiene poi che una parte di un braccio di Matteo si trovi in Santa Maria Maggiore, portatavi probabilmente come dono da papa Paolo V (1605-1621).


Español English Français Deutsch Português