Tratto da ne scelse dodici

San Simone




SAN SIMONE
Le notizie pervenuteci su Simone ci attestano un appellativo, che Vangeli e Atti degli Apostoli riportano in due diverse forme (“cananeo” e “zelota”), entrambe dal significato di “ardente di zelo”. L’errata interpretazione del termine “cananeo” ha fatto sì che la Chiesa orientale lo abbia identificato con Natanaele di Cana, nome invece da riferirsi all’apostolo Bartolomeo. Alcuni hanno invece voluto attribuire all’appellativo “zelota” un valore indicativo dell’appartenenza alla setta politico-religiosa antiromana degli Zeloti, ma si tratta di un’ipotesi che non riceve alcuna conferma dai testi antichi, sia canonici che apocrifi. Un’interpretazione che già appare nell’antichità, nella Chiesa abissina, lo identifica invece con Simeone figlio di Cleofa, cugino di Gesù e fratello dell’apostolo Giacomo il Minore, al quale succedette nel 62 nella guida della Chiesa di Gerusalemme, fino alla morte che avvenne sotto l’imperatore Traiano. Così viene descritto il martirio da Egesippo, vissuto nel II secolo e citato da Eusebio di Cesarea (Storia ecclesiastica, III, 32, 3. 6): «Alcuni di questi eretici accusarono Simeone, figlio di Cleofa, di essere discendente di Davide e cristiano; egli subì così il martirio, all’età di centoventi anni, sotto Traiano Cesare e il consolare Attico. […] il figlio dello zio del Signore, il suddetto Simeone figlio di Cleofa, fu denunciato dagli eretici e giudicato anch’egli per lo stesso motivo, sotto il consolare Attico. Torturato per molti giorni, testimoniò la sua fede in modo tale, che tutti, compreso il consolare, si stupirono di come un uomo di centoventi anni potesse resistere tanto; e fu condannato alla crocifissione». La menzione di Attico, cioè Tiberio Claudio Attico Erode, legato di Giudea dal 100 al 103, pone il martirio di Simeone ai primi anni del regno di Traiano, a Pella in Palestina, come si deduce ancora da Eusebio di Cesarea (Storia ecclesiastica, III, 5, 3).
È invece evidentemente un’altra persona il Simone che, secondo la tradizione del Breviario Romano, predicò in Egitto e, insieme all’apostolo Giuda Taddeo, in Mesopotamia. I due apostoli figurano insieme anche nella notizia di san Fortunato, vescovo di Poitiers alla fine del VI secolo, che, riprendendo l’apocrifa Passio Simonis et Iudae, indica per entrambi il martirio comune (uccisi a bastonate) verso l’anno 70 a opera di pagani in Persia, nella città di Suanir (probabilmente nella Colchide); e la loro sepoltura sarebbe stata in Babilonia. Altre tradizioni nominano per il martirio le vicine regioni dell’Armenia e dell’Iberia caucasica; mentre una tarda tradizione orientale (affermata dal monaco Epifane, IX secolo) conosce una tomba di Simone a Nicopsis, nel Caucaso occidentale. Insomma, l’area geografica indicata dalle diverse tradizioni sembra essere comunque abbastanza circoscritta.
Per quanto riguarda la modalità del martirio, si innesta nella tradizione occidentale (quella cioè che accomuna nel martirio Simone e Giuda Taddeo) l’influsso della medievale Leggenda aurea di Iacopo da Varagine, e a Simone viene attribuito lo stesso martirio subito dal profeta Isaia, così che egli viene spesso rappresentato segato in due.
Nel Medioevo le reliquie di Simone, sempre unito a Giuda Taddeo, erano venerate nella antica Basilica di San Pietro in Vaticano, nella quale esisteva un altare a loro dedicato. Dal 27 ottobre 1605 sono collocate presso l’altare al centro dell’abside del transetto sinistro della nuova Basilica (tribuna dei Santi Apostoli Simone e Giuda), che nel 1963 è stato dedicato a san Giuseppe patrono della Chiesa universale.


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