Recensioni
Hitler, la Santa Sede e gli ebrei
Giovanni Sale, iHitler, la Santa Sede e gli ebrei, /iJaca Book, Milano 2003, 556 pp., euro 29,00
Giovanni Sale, il gesuita che da anni firma gli approfondimenti storici della Civiltà Cattolica, ha dato alle stampe, per i tipi della Jaca Book, la sua ultima fatica, Hitler, la Santa Sede e gli ebrei, in cui l’autore ricostruisce, in maniera dettagliata e inedita, i tormentati rapporti tra la Santa Sede e il Terzo Reich dal 1933 al 1945. L’opera si dipana toccando i passaggi nodali di questo rapporto, mettendo in luce, con una mole poderosa di documentazione, i contrasti tra la Chiesa e il regime nazista, come anche il tentativo, attuato da papa Pacelli, di arginarne la portata devastatrice. Il testo ripercorre le varie tappe in cui tali contrasti sono emersi con più chiarezza: dalla mancata visita in Vaticano di Hitler, alle reazioni all’enciclica Mit brennender Sorge, al fallito attentato a Hitler maturato nell’ambito di circoli cattolici tedeschi (ma di cui erano a conoscenza anche autorevoli esponenti della gerarchia), messo a punto da ufficiali tedeschi dopo aver appreso l’orrore dei campi di sterminio. Figura centrale del volume, ovviamente, è papa Pacelli, di cui si delinea chiaramente il contrasto inconciliabile con l’ideologia nazista e la grande opera di carità in favore degli ebrei. L’autore ripropone in maniera sistematica, e ampliata, una serie di interventi su questo tema che già erano apparsi, sempre a sua firma, sulla rivista dei Gesuiti, e che tanto clamore avevano suscitato, non solo in ambito cattolico, al momento della loro pubblicazione. La grande quantità di documentazione, raccolta presso l’Archivio segreto vaticano e quello della Civiltà Cattolica, fa del testo un volume prezioso per ricostruire le vicende della Chiesa durante la tempesta nazista.
Davide Malacaria
L’attualità di san Francesco
Luigi Negri , iVivere il cristianesimo, Gribaudi,/i Milano 2004, 171 pp., euro 12,00
Su questo terreno si muovono le meditazioni che nel settembre del 2000 don Luigi Negri, docente di Introduzione alla teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, ha tenuto ai giovani frati minori francescani della provincia umbra durante un corso di esercizi spirituali nel convento di Monteluco di Spoleto.
Un corso di esercizi che, su insistenza degli stessi partecipanti, è ora diventato un libro. Don Negri ripercorre, in dieci tappe, i nodi fondamentali dell’esperienza cristiana nel suo concreto confronto con il mondo di oggi, ma tenendo sempre sullo sfondo l’esempio straordinario di Francesco e valorizzando la sua attualità.
E don Luigi, alla fine del volume, ripercorre la storia del poverello di Assisi, sulla falsariga di quegli eventi che, come dice Guardini, rappresentano una “breccia” attraverso la quale Cristo invade la vita di Francesco e la fa sua: l’incontro con il lebbroso, il colloquio con il Crocifisso a San Damiano, la rinuncia ai beni del padre e l’abbraccio con “Madonna povertà”: «Una povertà» commenta don Negri «che non è un no, ma un sì, è un attaccamento. Così come la verginità è una dedizione incondizionata, una pienezza che porta la condizione del sacrificio, ma non si esaurisce nel sacrificio. Per questo, in tutto ciò non v’è alcun no: tutto è sì, tutto fiorisce brilla e vive […]. È da lì che scaturisce la parola [di Francesco]: non è dotta, non è pedagogicamente accorta, non è artisticamente elaborata: è vita, è schietto amore di Dio».
La lezione di Francesco aiuta la Chiesa di oggi a non concepire la fede come un possesso o come «una delle forme storiche occidentali in cui si è coniugata la grande e universale dimensione religiosa», ma come un «evento di vita» a cui dire sì, come ha fatto, senza mezze misure, Francesco. «In virtù di questo sì» lo sguardo di Francesco abbraccia tutte le creature, al di là di ogni schematismo. Nell’orizzonte di questo “grande amore”, direbbe ancora Guardini – ma Francesco lo esprime con un’immagine che gli tornava in mente dalle canzoni dei trovatori: «una dama più nobile, più bella, più ricca di quanto mai abbiate visto» –, ogni aspetto della realtà è ricompreso: le grandi esperienze di colloquio con Dio, la nascita dell’Ordine con tutte le tensioni e le difficoltà che comportò, l’adesione fedele e umile alla Chiesa, ma anche le piccole cose della vita di tutti i giorni. «Sentendo riecheggiare questo cammino straordinario» commenta Negri «noi domandiamo semplicemente di potere seguire Francesco in quello che certamente ha saputo indicare nella vita a chiunque lo ha incontrato: far nascere il senso dell’affezione totale a Gesù Cristo, perché questa totalità di risposta diventi una creatività irresistibile, senza misura e senza confini, che abbraccia il piccolo particolare degli uccellini, a cui Francesco parlava, e il destino dell’universo e del mondo e, insieme, il gusto per i dolci che aveva mangiato quand’era malato».
Giovanni Ricciardi
Nel castello c’è un tesoro...
Mario Augusto Petricca, iLa spada dei leoni, Moderata Durant, Cori (Lt) 2004, 166 pp., s.i.p.
Giovanni Ricciardi
Fatta l’Europa restano da fare gli europei
Piero Badaloni, iEuropa al bivio. Le origini e le tappe di un cammino,/i Portalupi Editore, Casale Monferrato (Al) 2004, 158 pp., euro 9,50
L’Europa è dunque a un bivio. Piero Badaloni, noto giornalista corrispondente Rai da Bruxelles fino al gennaio 2004, attualmente responsabile dell’ufficio Rai di Berlino, nel suo Europa al bivio. Le origini e le tappe di un cammino, passa in rassegna i momenti più importanti della storia dell’Europa unita, a partire dal 1941 con il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, costruita su valori comuni condivisi passo dopo passo, e che oggi ha davanti un futuro tutto da costruire, al momento incerto e nebuloso. Apre, dunque, il libro, che si fa leggere volentieri per stile e contenuti, una cronologia delle principali tappe storiche di costruzione dell’Unione europea: l’inizio a sei membri, il passaggio a nove nel 1973; l’adesione della Grecia nel 1981; poi l’Europa passa a dodici nel 1986 e a quindici nel 1995 con l’ingresso di Austria, Finlandia e Svezia. Tappe in qualche modo condizionate da eventi e mutamenti politici intervenuti sulla scena internazionale che comunque spingevano a una rivisitazione della Comunità. Si pensi alla perestroika lanciata da Gorbaciov alla fine degli anni Ottanta e al crollo del muro di Berlino il 9 novembre 1989, fatti che aprirono la strada a una nuova fase politica e istituzionale della Comunità europea che avrebbe portato a Maastricht nel ’92 con la firma dell’omonimo Trattato, momento di vera svolta per l’Unione europea.
Ed eccoci ai giorni nostri, alla grande sfida odierna dettata soprattutto dalla nuova convenzione europea (cfr. p. 43), dai riflessi connessi all’allargamento territoriale ad altri dieci Paesi, soprattutto alla definizione di nuove condizioni operative. Si tratta ora di introdurre nuove regole per governare l’Europa, non solo sul versante monetario, cercando di non farla distanziare molto dai cittadini. Al ruolo dei cittadini Badaloni dedica un capitolo (pp. 38-43) che ha forse il limite della genericità, ma che è importante sul piano dello stimolo culturale. Manca una cultura europeista ai cittadini. È cittadino europeo chi, oltre ad avere “la cittadinanza di uno Stato membro, culturalmente si sente membro libero, naturale, di un unico Stato che ha al suo interno italiani, francesi, svedesi o ucraini e ne governa gli interessi.
Domani (12 e 13 giugno 2004) tutti i cittadini europei andranno alle urne per eleggere liberamente il nuovo Parlamento europeo. Credo che questo interessante libro di Badaloni aiuti a capire meglio la situazione politica e istituzionale nella quale ci si muove (in appendice puntuali schede esplicative illustrano il funzionamento delle istituzioni europee, presentano i dieci nuovi Stati membri dell’Unione e i tre Stati candidati ad entrarvi nei prossimi anni, Bulgaria, Romania, Turchia).
Due appunti a piè di pagina. Primo: forse sarebbe stato opportuno, accanto ai fatti che hanno caratterizzato la storia dell’Unione, raccontare anche degli uomini che l’hanno ideata e costruita. Secondo: nessun cenno viene fatto al fenomeno dell’immigrazione e di come l’Europa, con regole comuni, intenda affrontare il problema che ormai non è più di un singolo Stato, ma assume dimensioni e rilevanza più allargate, europee appunto. Ma capisco che non si può dire tutto in un libro.
Walter Montini
La lunga strada per gli altari
Romualdo Rodrigo, iManuale delle cause di beatificazione e canonizzazione, /iInstitutum Historicum Augustinianorum Recollectorum, Roma 2004, 522 pp., euro 27,00
Marco Rinaldi
I visitatori dei poveri
Gennaro Cassiani, iI visitatori dei poveri. Storia della Società di San Vincenzo de’ Paoli a Roma. Vol. I: L’epoca pontificia (1836-1870),/I Il Mulino, Bologna 2003, 276 pp., euro 21,50
In questo clima difficile e complesso era nata a Parigi, nel 1833, la prima delle conferenze di San Vincenzo de’ Paoli. Il giovane Ozanam, fervente cattolico, fino allora animatore di un circolo culturale cristiano, si era reso conto sempre più dell’abisso che allontanava dalla Chiesa le generazioni che si erano formate in Francia in quei decenni. E aveva presto compreso che i dibattiti o le conferenze da lui organizzate in difesa della fede non avrebbero mai reso l’effetto di riavvicinare la gente al cristianesimo. Optò allora per una forma di testimonianza fondata sulla carità, incidendo così nello spazio sociale più che in quello della politica o della cultura. E inventando una formula che avrà lunga fortuna in tutta l’Europa del XIX secolo e oltre. La Società di San Vincenzo de’ Paoli, che prende nome dal grande apostolo francese della carità, fu fra l’altro la prima associazione totalmente laicale nella storia della Chiesa moderna. La formula era semplice: gli associati si dedicavano alla visita domiciliare alle famiglie povere, cercando di provvedere ai loro bisogni ma anche di portare un conforto spirituale e una testimonianza cristiana. Nello spirito di Ozanam, la pratica della “visita domiciliare” assume un aspetto centrale: il contatto concreto con la realtà dei poveri diviene per lui il segno distintivo di una carità pratica che distingue la Società dalle forme più o meno laiche di filantropia diffuse in quegli anni, spesso in aperta polemica con la Chiesa: «Guardate le associazioni filantropiche» scrive Ozanam: «non sono che assemblee, resoconti, memorie; non è trascorso ancora un anno dalla loro esistenza, che già possiedono dei grossi volumi di processi verbali. La filantropia è un’orgogliosa istituzione per la quale le buone azioni sono una specie di ornamento e che si compiace di guardarsi allo specchio. La carità è una tenera madre che tiene fissi gli occhi sul bimbo che allatta, che non pensa più a se stessa e dimentica la sua bellezza per il suo amore».
Al suo approdo in Italia, la Società finirà per svolgere un ruolo importante nello sviluppo del movimento cattolico italiano. Quel filone del cattolicesimo sociale che si espresse, dopo l’unificazione nazionale, attraverso l’Azione cattolica e l’opera di Luigi Sturzo, guardò spesso all’esperienza di Ozanam come a un modello esemplare. La sua scelta di incidere più sul tessuto sociale che su quello istituzionale permise infatti alla Società, anche se in modo non indolore, di attraversare in Italia il difficile periodo della transizione dallo Stato Pontificio al governo sabaudo senza perdere la propria identità. La parola d’ordine dei paolotti – così li chiamava in tono dispregiativo la stampa anticlericale italiana della seconda metà dell’Ottocento – fu sempre quella di non confondere il piano dell’azione caritativa con quello degli schieramenti politico-istituzionali: i suoi membri non dovevano impegnarsi in propaganda politica pro o contro il potere temporale dei papi. Pio IX, che fu tra i maggiori protettori dell’opera di Ozanam, approvò in toto questa scelta.
Il volume di Gennaro Cassiani ripercorre con esattezza storico-documentaria il cammino della Società di San Vincenzo a Roma, dai primi timidi tentativi del 1836 al grande sviluppo dell’opera sotto il pontificato di papa Mastai, fino alla vigilia di Porta Pia. È il primo di una serie di tre volumi che abbracceranno l’intera parabola della presenza dell’associazione nella città dei papi. Documenti d’archivio, tabelle di rendiconti, dislocazione territoriale, rapporti con le istituzioni ecclesiastiche, interventi pontifici: il lavoro dello storico analizza minutamente il primo radicarsi di questa “nuova” forma di carità in quella Roma preunitaria che ancora negli ultimi anni di “indipendenza” era caratterizzata da una fittissima rete assistenziale che il breve governo napoleonico non era riuscita a cancellare. Merito dello studio di Cassiani è quello di riuscire a tracciare un quadro complessivo e per nulla stereotipato delle dinamiche sociali interne a una città che s’avviava a voltare la millenaria pagina del governo dei papi. Una città “speciale” per molti aspetti, in cui l’esercizio della carità assumeva il carattere di una vera e propria “economia parallela”, tante erano le forme dell’assistenza pubblica gestite e controllate dalla Chiesa: «La carità» scrive Cassiani «“metodo di governo”, norma e forma tradizionale di vita, prima che strumento di controllo sociale era base di peculiari forme di socializzazione, con contenuti sia reali sia formali che non è facile districare tra loro: i nobili facevano battezzare i loro figli dai mendicanti e questi ringraziavano la Provvidenza per la presenza dei ricchi; da una parte c’era il forte senso del dovere, dall’altro quello di un diritto, e una fiorente beneficenza, individuale e familiare, era esercitata su vari canali e su vari terreni, insieme con quella delle congregazioni e degli istituti religiosi, delle confraternite e degli istituti pii e, finché vissero, delle corporazioni. Il peso principale veniva però sostenuto dalla finanza e dall’organizzazione dello Stato».
Cassiani descrive l’ingresso dei paolotti in questa multiforme realtà, con tutte le contraddizioni che essa comunque viveva – rese immortali dallo spirito salace e grottesco dei sonetti del Belli –, e la loro capacità di ritagliarsi uno spazio non trascurabile di azione sociale: dall’istruzione agli orfani al contributo per gli affitti alle famiglie povere, dalla visita domiciliare all’assistenza offerta anche alle truppe garibaldine dopo la battaglia di Mentana. Ne emerge un quadro che riesce a cogliere la crisi dello Stato Pontificio nelle sue ripercussioni sociali senza trascurare di porre in evidenza la particolare spiritualità che animò i membri di quest’associazione. L’azione caritativa dei paolotti, nonostante l’astensione dall’arena politica, non risparmiò loro l’attenzione irriverente del mondo laico e la preoccupazione del governo sabaudo, che vide in essi un pericolo e un ostacolo alla realizzazione dell’unità d’Italia non meno attivo di quei gesuiti che, secondo la “vulgata” del tempo, li sostenevano e li dirigevano come le punte più avanzate della “resistenza” cattolica alla modernità.
Giovanni Ricciardi
La freccia e il fucile
Silvia Zaccaria, iLa freccia e il fucile,/I Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2003, 158 pp., euro 9,00
Aiuta a capire la situazione di queste popolazioni minacciate, gli indios, il libro di Silvia Zaccaria La freccia e il fucile. L’Amazzonia nelle mire della globalizzazione. Ripercorre la storia della popolazione indigena, nelle sue varie articolazioni etniche; storia fatta di soprusi, di violenze inflitte, anche in questi ultimi anni, dalla polizia e dai fazendeiros, i grandi proprietari terrieri. Affascina la descrizione della povertà di queste popolazioni, in una Amazzonia in agonia; storie avvolte da silenzi e oblii; storie di uccisioni di povera gente, di devastazioni ambientali, di abusi e illegalità perpetrate a danno degli ultimi. Siamo in Roraima, uno Stato che compone la Repubblica federale del Brasile, Boa Vista è la sua capitale. Roraima, la “madre dei venti”, la montagna sacra da cui il dio fece sgorgare tutti i fiumi, è uno dei luoghi del pianeta dove si realizza lo scontro di un tempo tra frecce e fucili («noi avevamo il fucile per primi, dice una storia. Dopo, i bianchi l’hanno preso perché noi non lo volevamo più. Hanno preso il fucile e hanno lasciato la freccia all’indio. Il bianco si è abituato al fucile e l’indio alla freccia»); fra le logiche economiche occidentali e i piccoli gruppi umani che tenacemente gli si oppongono per la difesa dei loro diritti, del loro ambiente e della loro identità.
Conforta constatare che esiste ancora una società civile che sa mobilitarsi al fianco degli ultimi, per reclamarne e difenderne i diritti; è il segno di una maturità della democrazia che questo libro ci insegna a difendere.
Walter Montini