Recensioni
Il Papa raccontato dai vaticanisti italiani
Piero Schiavazzi (a cura di), IAndate in tutto il mondo. I vaticanisti italiani raccontano Giovanni Paolo II/I, Edb, Bologna 2004, 643 pp., s.i.p.
È significativo che sia un ministero a pubblicare un libro di tal natura; e che il sottosegretario Mario Baccini, in qualità di presidente della Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana all’estero, sia stato il promotore di una iniziativa culturale di spessore come questa, che trova oggi sintesi nel volume che racconta il pontificato di Giovanni Paolo II. Il libro bisogna leggerlo: vi si trova l’approfondimento della dimensione più spirituale e umana di questo straordinario Papa e di quella più politica della Santa Sede nel mondo; si comprendono appieno l’idea europea e l’opportunità del dialogo tra cristianesimo e islam ( basta leggere tutta la parte relativa all’impegno ostinato per la costruzione di un mondo di pace attraverso le vie del dialogo e della solidarietà), oltre alle significative altre “profezie”.
Walter Montini
Una città pluralista
Massimo Sanacore, IIl percorso interrotto/I, Annuario Sibel, Lucca 2004, 111 pp., s.i.p.
Nel libro, che presenta un’elegante e inusuale veste grafica si intravede indubbiamente un rigore storico derivante dalla consultazione e riproduzione di documenti conservati nell’Archivio di Stato della città. La storia di Livorno, o almeno, i settantacinque anni indagati, non è ingabbiabile in uno schema semplice. Si alternano sul proscenio della storia della città presenze e dimensioni culturali di notevole impatto: l’alleanza strategica tra protestanti ed ebrei, l’esperienza del fascismo (il ventennio fascista occupa l’intera terza parte della pubblicazione e ne costituisce il tentativo di un primo bilancio sociale), la presenza comunista, il nascere della cultura cattolica. Un pluralismo di sedimenti che hanno interagito anche con le istituzioni, giocando un ruolo decisivo per lo sviluppo del sistema economico livornese.
È uno spaccato di storia nel quale i livornesi si identificheranno. Lasciano qualche perplessità, di ordine generale, alcune affermazioni e analisi, ovviamente sommarie, del periodo indagato che, come spesso avviene, assumono caratteristiche e dimensioni culturali e sociali locali a volte diverse da quelle generali del resto del Paese. È, in effetti, una storia un po’ a sé quella di Livorno, con dei caratteri peculiari anche all’interno del contesto toscano.
Walter Montini
Il presidente scomodo
Nicola De Ianni e Paolo Varvaro (a cura di), Cesare Merzagora. IIl presidente scomodo/I, Prismi, Napoli 2004, 464 pp., euro 35,00
La biografia di Cesare Merzagora, riproposta in un bel saggio curato da Nicola De Ianni e Paolo Varvaro, Cesare Merzagora. Il presidente scomodo, illumina innanzitutto alcuni aspetti dell’economia italiana tra il primo quarto e l’ultimo decennio del secolo scorso. Merzagora è infatti un personaggio centrale delle vicende economiche e politiche del secolo scorso. Eccoci dunque davanti ad una pagina interessante della nostra storia più recente, alla cui scrittura “il presidente” contribuì operando da diverse posizioni: una pagina condivisibile o meno, ma chiara. Uomo dell’industria e del capitalismo italiano, Merzagora approdò alla politica attraverso un controverso rapporto col fascismo, sul finire degli anni Trenta; seguì l’esperienza della lotta partigiana, l’impegno politico nel partito liberale, rappresentante di quel “quarto partito”, quello dei produttori e dei capitalisti, che ebbe posizioni di responsabilità nel IV governo De Gasperi. Presidente del Senato dal 1953 al 1967 (la parentesi politica è analizzata alle pp. 69-113), nel 1968 si distaccò dalla politica e ritornò all’economia, alle Assicurazioni Generali, fino al 1979.
Questa l’impalcatura generale, peraltro molto ordinata, che regge il voluminoso saggio che comprende anche cinque studi monografici che indagano aspetti specifici della biografia di Merzagora. Vengono riproposti e ripensati alcuni nodi vitali della storia italiana del XX secolo: il rapporto banca-industria, la transizione dal fascismo alla Repubblica, la finanza aziendale, la ricostruzione e lo sviluppo economico italiano, l’intreccio fra istituzioni politiche, storia dei partiti e potere economico, l’evoluzione del mercato finanziario, la questione morale, i rapporti tra Italia ed Europa.
Paolo Varvaro, in una interessante sezione del libro, “La politica al tempo di Merzagora” (p.345), fa un excursus nel mondo politico. Parte, all’indomani della caduta del fascismo, dalla questione della formazione di una nuova classe dirigente fino ai governi De Gasperi, attraversa i conflitti di potere interni alla classe politica, arrivando sino ai giorni della crisi del governo Tambroni e di quella del 1964: i capitoli di una situazione che, spesso in posizione scomoda, Merzagora si trovò ad affrontare, e che fanno ancora parte della storia recente. Forse varrebbe la pena stralciare questa parte che conserva caratteri di attualità e rileggerla con gli occhi di oggi perché, come dice Miguel de Unamuno, «credo profondamente che se ognuno dicesse sempre e in ogni caso la verità, la nuda verità, in principio la terra diventerebbe inabitabile, ma finiremmo presto con l’intenderci, e molto meglio di quello che non ci si intenda ora».
Walter Montini
Memorie sugli armeni
Lorenzo Mechi-Salvatore Speziale (a cura di), IDocumenti diplomatici italiani sull’Armenia/I, voll. III-IV, Firenze 2000-2003, 920 pp., euro 123, 97
Da questi Documenti diplomatici italiani sull’Armenia, provenienti dall’Archivio storico diplomatico del Ministero degli Affari esteri e pubblicati dalla apposita Commissione, a cura di Lorenzo Mechi e Salvatore Speziale (siamo al III e IV volume), si comprende che sino alla sua frantumazione l’Impero ottomano era un complesso mosaico di popolazioni cristiane (slavi, greci, siriani, armeni), ebree e musulmane (turchi, curdi, arabi), e quest’ultime godevano di maggiori diritti e tutele. Per quanto riguarda “la causa armena”, dal rapporto del console italiano a Trebisonda (5 marzo 1896) si intuisce la filosofia dell’“ottomanismo”, cioè del progetto di fondere tutti questi popoli in una nuova nazionalità, visione dell’Impero alla quale succedette, dopo il 1913, la dottrina del “panturchismo”, per la quale la razza turca era superiore e auspicava l’unione di tutti i popoli turchi, dal Bosforo alla Cina, nonché la conversione o “riduzione ai minimi termini” di quegli elementi non assimilabili. Il rapporto informa l’ambasciatore italiano a Costantinopoli che vi è un crescente mal animo dei turchi contro i cristiani in generale.
È quindi interessante e agevole la lettura di questa ponderosa raccolta in più volumi di dispacci diplomatici italiani dal 1891 al 1916 sulla questione armena e l’impero turco, che testimonia la costante azione di monitoraggio e di informativa da parte della nostra diplomazia. Sono lettere, più o meno brevi, inviate dalle nostre rappresentanze agli allora ministri degli Esteri; dispacci informativi al governo italiano, con acclusi anche articoli di giornali e dichiarazioni di diplomatici e parlamentari di altri Paesi europei – a dimostrazione di come la situazione fosse nota a livello internazionale – sui saccheggi e sulle migliaia di uccisioni efferate compiute a sangue freddo dai turchi contro la popolazione armena (perpetrate anche per più giorni), senza distinzione di età o di sesso (tra i tanti si cita il caso dell’accecamento e scorticamento di un prete armeno). Questione ben nota da tempo alle potenze della Triplice alleanza, le quali avevano provveduto ad evidenziarla, come cita più di un documento diplomatico, con l’articolo 61 del Trattato di Berlino (1878), che esigeva da parte del governo turco l’applicazione di riforme che garantissero la sicurezza delle comunità armene. Missive, quindi, nelle quali è possibile anche cogliere la situazione politica interna della “Sublime Porta”, le sue relazioni con i Paesi occidentali, ad esempio i numerosi tentativi del sultano di accattivarsi il sostegno, disatteso, dell’Impero tedesco nella propria politica antiarmena; i tentativi degli armeni “politicizzati” di forzare la mano ai turchi per costringere la comunità internazionale a prendere posizione contro le loro rivalse e, in definitiva, la totale mancanza di una ferma presa di posizione da parte delle potenze europee, che denunciarono i fatti ma, per ragioni di opportunità, non intervennero.
Walter Montini
Maltesi e fraintesi
Giovanni Scarabelli, ICulto e devozione dei Cavalieri a Malta/I, University Press of Malta, s.i.l. 2004, 800 pp., s.i.p.
Marco Rinaldi
Il rilievo della caritas nel diritto canonico
IConfessione e dichiarazione delle parti nelle cause canoniche di nullità matrimoniale/I, Cedam, Padova 2003, 199 pp., euro 17,00
E infatti questo è stato lo scopo del convegno che si è svolto a Verona il 10 maggio 2001 presso l’antico Studium veronense. Hanno partecipato giuristi dell’Accademia – Sandro Gherro, Stefania Martin e Giuseppe Comoti – e notissimi operatori giuridici – monsignor Francesco Salerno, il cardinale Tarcisio Bertone, monsignor Joaquín Llobell e il rinomato giudice rotale monsignor José María Serrano Ruiz. I contributi studiano l’evoluzione che ha subito l’ordinamento canonico in relazione a questa prova così importante: la confessione e le dichiarazioni delle parti. Si apprende allora che, tranne il periodo di vigore del Codex iuris canonici del 1917, tale strumento probatorio ha goduto di una particolare considerazione per riconoscere giuridicamente la realtà sostanziale di un fatto, il matrimonio, che, nonostante nasca dal libero consenso dei coniugi, supera i limiti di ogni aspettativa soggettiva. Ma sorprende ancora di più il movente della fiducia che la Chiesa ha riconosciuto a queste dichiarazioni. La causa ultima di questo atteggiamento fiducioso si trova nella caritas che fa riconoscere in ogni uomo la vera immagine di Dio. Ma, trattandosi di uno studio giuridico, si esamina l’evoluzione della rilevanza avuta da questa prova processuale nelle fonti del Medioevo, così come nei dibattiti previi ai Codici del 1917 e 1983, oltre che negli indirizzi che la giurisprudenza rotale avanzò nel periodo intercodiciale.
Il lettore attento troverà, quindi, in quest’opera, oltre le dotte spiegazioni delle garanzie che un diritto multisecolare offre per tutelare la verità di un fatto accaduto, due elementi pregevoli: il senso della tradizione giuridica che informa il diritto della Chiesa e, soprattutto, l’attaccamento a una verità che diviene ragion di vita.
José Ignacio Alonso Pérez