Rubriche
tratto dal n.10 - 2004


Il Papa raccontato dai vaticanisti italiani


Piero Schiavazzi (a cura di), IAndate in tutto  il mondo. 
I vaticanisti italiani raccontano Giovanni Paolo II/I, Edb, Bologna 2004, 643 pp., s.i.p.

Piero Schiavazzi (a cura di), IAndate in tutto il mondo. I vaticanisti italiani raccontano Giovanni Paolo II/I, Edb, Bologna 2004, 643 pp., s.i.p.

Un volume di oltre seicento pagine, Andate in tutto il mondo, pubblicato dal Ministero degli Affari esteri, è stato il dono degli istituti italiani di cultura all’estero a Papa Giovanni Paolo II, in occasione del XXVI anniversario del suo pontificato. Con conferenze e manifestazioni tenutesi nel 2003 in quaranta città del mondo, presso i nostri istituti di cultura, prestigiosi giornalisti vaticanisti hanno ripercorso da Cracovia a Gerusalemme, da Oslo a Rabat, da Edimburgo a Damasco, da Chicago a Buenos Aires, da San Paolo, a Santiago, i più alti significati del magistero papale. Credo che nel volume sia veramente compreso tutto il magistero di Giovanni Paolo II, dalle encicliche alle sue intuizioni politiche, alle prese di posizione sugli avvenimenti che hanno caratterizzato, e anche sconvolto – si pensi alle guerre –, quest’ultimo quarto di secolo. Giancarlo Zizola a Washington e San Paolo, Andrea Tornielli a Barcellona, Orazio Petrosillo, Giuseppe De Carli del Tg1, Sandro Magister, Marco Politi, Salvatore Mazza, Luigi Accattoli del Corriere della Sera, per citarne solo alcuni, in modo originale ed esaustivo hanno presentato al mondo i contorni di un pontificato estremamente importante anche per gli eventi che hanno segnato la storia e che questo Papa ha saputo analizzare e guidare con lucidità profetica.
È significativo che sia un ministero a pubblicare un libro di tal natura; e che il sottosegretario Mario Baccini, in qualità di presidente della Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana all’estero, sia stato il promotore di una iniziativa culturale di spessore come questa, che trova oggi sintesi nel volume che racconta il pontificato di Giovanni Paolo II. Il libro bisogna leggerlo: vi si trova l’approfondimento della dimensione più spirituale e umana di questo straordinario Papa e di quella più politica della Santa Sede nel mondo; si comprendono appieno l’idea europea e l’opportunità del dialogo tra cristianesimo e islam ( basta leggere tutta la parte relativa all’impegno ostinato per la costruzione di un mondo di pace attraverso le vie del dialogo e della solidarietà), oltre alle significative altre “profezie”.

Walter Montini




Una città pluralista


Massimo Sanacore, IIl percorso interrotto/I, Annuario Sibel, Lucca 2004, 111 pp., s.i.p.

Massimo Sanacore, IIl percorso interrotto/I, Annuario Sibel, Lucca 2004, 111 pp., s.i.p.

Sono frequenti le pubblicazioni di ricerche di carattere storico locale che istituzioni, aziende, associazioni mettono in cantiere, meritoriamente, per recuperare e fissare nella memoria fatti, avvenimenti, personaggi che hanno segnato la storia di una città, di un paese, di una comunità. Abbiamo avuto modo di recensirne parecchie in questa rubrica. Oggi scopriamo un’elegante pubblicazione curata da un’azienda, la Sibel s.r.l. di Livorno, che ha dato alle stampe un frammento di storia recente della città con ricerca di Massimo Sanacore, Il percorso interrotto. Il percorso di quel singolare pluralismo etnico, religioso e politico che ha caratterizzato il sistema economico, industriale e sociale livornese, a partire dal 1865 quando Livorno era porto franco, e che è stato interrotto, appunto, nel 1940. Perché interrotto? Perché – sostiene l’autore – dopo l’unificazione d’Italia, Livorno è sottoposta ad un lento ma inesorabile declino. Il caso viene studiato attraverso passaggi storici che hanno interessato il Paese, il sistema economico finanziario e le presenze imprenditoriali locali: i Dini e Mathon, ad esempio, ad inizio secolo, gli Orlando ecc...
Nel libro, che presenta un’elegante e inusuale veste grafica si intravede indubbiamente un rigore storico derivante dalla consultazione e riproduzione di documenti conservati nell’Archivio di Stato della città. La storia di Livorno, o almeno, i settantacinque anni indagati, non è ingabbiabile in uno schema semplice. Si alternano sul proscenio della storia della città presenze e dimensioni culturali di notevole impatto: l’alleanza strategica tra protestanti ed ebrei, l’esperienza del fascismo (il ventennio fascista occupa l’intera terza parte della pubblicazione e ne costituisce il tentativo di un primo bilancio sociale), la presenza comunista, il nascere della cultura cattolica. Un pluralismo di sedimenti che hanno interagito anche con le istituzioni, giocando un ruolo decisivo per lo sviluppo del sistema economico livornese.
È uno spaccato di storia nel quale i livornesi si identificheranno. Lasciano qualche perplessità, di ordine generale, alcune affermazioni e analisi, ovviamente sommarie, del periodo indagato che, come spesso avviene, assumono caratteristiche e dimensioni culturali e sociali locali a volte diverse da quelle generali del resto del Paese. È, in effetti, una storia un po’ a sé quella di Livorno, con dei caratteri peculiari anche all’interno del contesto toscano.

Walter Montini




Il presidente scomodo


Nicola De Ianni e Paolo Varvaro (a cura di), Cesare Merzagora. IIl presidente scomodo/I, Prismi, Napoli 2004, 464 pp., euro 35,00

Nicola De Ianni e Paolo Varvaro (a cura di), Cesare Merzagora. IIl presidente scomodo/I, Prismi, Napoli 2004, 464 pp., euro 35,00

Si impara a conoscere le vicende della storia soprattutto attraverso la conoscenza di alcuni personaggi che ne hanno segnato le dimensioni e le tappe più recenti; uomini e vicende che oggi rischiano di essere rimossi o dimenticati per quello strano gioco della storia che pensa che tutto debba essere nuovo, che tutto nasce oggi e che l’esperienza passata serve solo per ricordare, per fare memoria.
La biografia di Cesare Merzagora, riproposta in un bel saggio curato da Nicola De Ianni e Paolo Varvaro, Cesare Merzagora. Il presidente scomodo, illumina innanzitutto alcuni aspetti dell’economia italiana tra il primo quarto e l’ultimo decennio del secolo scorso. Merzagora è infatti un personaggio centrale delle vicende economiche e politiche del secolo scorso. Eccoci dunque davanti ad una pagina interessante della nostra storia più recente, alla cui scrittura “il presidente” contribuì operando da diverse posizioni: una pagina condivisibile o meno, ma chiara. Uomo dell’industria e del capitalismo italiano, Merzagora approdò alla politica attraverso un controverso rapporto col fascismo, sul finire degli anni Trenta; seguì l’esperienza della lotta partigiana, l’impegno politico nel partito liberale, rappresentante di quel “quarto partito”, quello dei produttori e dei capitalisti, che ebbe posizioni di responsabilità nel IV governo De Gasperi. Presidente del Senato dal 1953 al 1967 (la parentesi politica è analizzata alle pp. 69-113), nel 1968 si distaccò dalla politica e ritornò all’economia, alle Assicurazioni Generali, fino al 1979.
Questa l’impalcatura generale, peraltro molto ordinata, che regge il voluminoso saggio che comprende anche cinque studi monografici che indagano aspetti specifici della biografia di Merzagora. Vengono riproposti e ripensati alcuni nodi vitali della storia italiana del XX secolo: il rapporto banca-industria, la transizione dal fascismo alla Repubblica, la finanza aziendale, la ricostruzione e lo sviluppo economico italiano, l’intreccio fra istituzioni politiche, storia dei partiti e potere economico, l’evoluzione del mercato finanziario, la questione morale, i rapporti tra Italia ed Europa.
Paolo Varvaro, in una interessante sezione del libro, “La politica al tempo di Merzagora” (p.345), fa un excursus nel mondo politico. Parte, all’indomani della caduta del fascismo, dalla questione della formazione di una nuova classe dirigente fino ai governi De Gasperi, attraversa i conflitti di potere interni alla classe politica, arrivando sino ai giorni della crisi del governo Tambroni e di quella del 1964: i capitoli di una situazione che, spesso in posizione scomoda, Merzagora si trovò ad affrontare, e che fanno ancora parte della storia recente. Forse varrebbe la pena stralciare questa parte che conserva caratteri di attualità e rileggerla con gli occhi di oggi perché, come dice Miguel de Unamuno, «credo profondamente che se ognuno dicesse sempre e in ogni caso la verità, la nuda verità, in principio la terra diventerebbe inabitabile, ma finiremmo presto con l’intenderci, e molto meglio di quello che non ci si intenda ora».

Walter Montini




Memorie sugli armeni


Lorenzo Mechi-Salvatore Speziale (a cura di), IDocumenti diplomatici italiani sull’Armenia/I, voll. III-IV, Firenze 2000-2003, 920 pp., euro 123, 97

Lorenzo Mechi-Salvatore Speziale (a cura di), IDocumenti diplomatici italiani sull’Armenia/I, voll. III-IV, Firenze 2000-2003, 920 pp., euro 123, 97

Nel presente momento storico, dove governi e centri “diplomatici” ed economici cercano di rendere fluidi i rapporti tra Occidente e Oriente, per evitare che le tensioni esistenti vengano intese o proposte come guerre di religione, la pubblicazione e la lettura di queste “memorie sugli armeni” porta necessariamente a domandarci se mantenere alto l’interesse storico sul “genocidio armeno”, e sui loro beni confiscati, non acuisca l’incertezza di pace e di comprensione internazionale. Il nostro parere è che nell’epoca dell’information technology, la volontà di non riconoscere un fatto storicamente acclarato, anche se non politicamente scorretto, sia effettivamente inutile.
Da questi Documenti diplomatici italiani sull’Armenia, provenienti dall’Archivio storico diplomatico del Ministero degli Affari esteri e pubblicati dalla apposita Commissione, a cura di Lorenzo Mechi e Salvatore Speziale (siamo al III e IV volume), si comprende che sino alla sua frantumazione l’Impero ottomano era un complesso mosaico di popolazioni cristiane (slavi, greci, siriani, armeni), ebree e musulmane (turchi, curdi, arabi), e quest’ultime godevano di maggiori diritti e tutele. Per quanto riguarda “la causa armena”, dal rapporto del console italiano a Trebisonda (5 marzo 1896) si intuisce la filosofia dell’“ottomanismo”, cioè del progetto di fondere tutti questi popoli in una nuova nazionalità, visione dell’Impero alla quale succedette, dopo il 1913, la dottrina del “panturchismo”, per la quale la razza turca era superiore e auspicava l’unione di tutti i popoli turchi, dal Bosforo alla Cina, nonché la conversione o “riduzione ai minimi termini” di quegli elementi non assimilabili. Il rapporto informa l’ambasciatore italiano a Costantinopoli che vi è un crescente mal animo dei turchi contro i cristiani in generale.
È quindi interessante e agevole la lettura di questa ponderosa raccolta in più volumi di dispacci diplomatici italiani dal 1891 al 1916 sulla questione armena e l’impero turco, che testimonia la costante azione di monitoraggio e di informativa da parte della nostra diplomazia. Sono lettere, più o meno brevi, inviate dalle nostre rappresentanze agli allora ministri degli Esteri; dispacci informativi al governo italiano, con acclusi anche articoli di giornali e dichiarazioni di diplomatici e parlamentari di altri Paesi europei – a dimostrazione di come la situazione fosse nota a livello internazionale – sui saccheggi e sulle migliaia di uccisioni efferate compiute a sangue freddo dai turchi contro la popolazione armena (perpetrate anche per più giorni), senza distinzione di età o di sesso (tra i tanti si cita il caso dell’accecamento e scorticamento di un prete armeno). Questione ben nota da tempo alle potenze della Triplice alleanza, le quali avevano provveduto ad evidenziarla, come cita più di un documento diplomatico, con l’articolo 61 del Trattato di Berlino (1878), che esigeva da parte del governo turco l’applicazione di riforme che garantissero la sicurezza delle comunità armene. Missive, quindi, nelle quali è possibile anche cogliere la situazione politica interna della “Sublime Porta”, le sue relazioni con i Paesi occidentali, ad esempio i numerosi tentativi del sultano di accattivarsi il sostegno, disatteso, dell’Impero tedesco nella propria politica antiarmena; i tentativi degli armeni “politicizzati” di forzare la mano ai turchi per costringere la comunità internazionale a prendere posizione contro le loro rivalse e, in definitiva, la totale mancanza di una ferma presa di posizione da parte delle potenze europee, che denunciarono i fatti ma, per ragioni di opportunità, non intervennero.

Walter Montini




Maltesi e fraintesi


Giovanni Scarabelli, ICulto e devozione dei Cavalieri a Malta/I, University Press of Malta, 
s.i.l. 2004,  800 pp., s.i.p.

Giovanni Scarabelli, ICulto e devozione dei Cavalieri a Malta/I, University Press of Malta, s.i.l. 2004, 800 pp., s.i.p.

Da oltre vent’anni cappellano conventuale professo del Sovrano militare ordine ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, detto di Rodi, detto di Malta, fra Giovanni Scarabelli è noto come autorevole e appassionato studioso della storia e delle tradizioni dell’antico Istituto, appena entrato nel decimo secolo di vita. Nel progetto, per certi versi ambizioso, di ricostruire i tre cardini sui cui s’imperniava la missione dei Cavalieri di Malta in epoca storica – vale a dire, gli originali carismi della tuitio fidei e dell’obsequium pauperum, coniugati, fin dal tempo di Rodi, alla ridefinizione in senso marinaresco dell’ideale di militia Christi – Scarabelli, dopo alcuni saggi dedicati appunto alla vita dei Giovanniti a Malta, su galere e vascelli, propone ora un’importante studio sul carisma religioso dell’Ordine, con particolare enfasi per la sua genuina spiritualità. Il ponderoso volume offre, dopo un puntuale saggio introduttivo di ricostruzione storico-liturgica, l’edizione del Caeremoniale melitense e di altre venerande testimonianze di ambito cultuale, la cui redazione sembra doversi collocare negli anni Settanta del Settecento, verso la fine della signoria dei Cavalieri sull’isola mediterranea. Così, l’insieme di tali preziose fonti, come osserva lo stesso Scarabelli, «viene, certo involontariamente, a configurarsi come una specie di Summa “totale”, riassuntiva delle tradizioni religiose praticate dai Cavalieri a Malta, seppure con interessantissimi riferimenti anche ad epoche anteriori, cioè all’epoca di Rodi, e pure all’epoca palestinese». In effetti, sfogliando il libro, non è raro imbattersi in autentiche sorprese, curiose nella loro unicità, come la sequenza Inter natos mulierum, che i Cavalieri solevano cantare il 24 giugno nella solennità della Natività di san Giovanni Battista, patrono dell’Ordine: il ritmo delle strofe, di ascendenza trocaica, suggerisce, anche al lettore meno avvertito, un immediato confronto con più celebri documenti della poesia liturgica medievale (in primo luogo la sequenza Stabat Mater). Si possono poi reperire informazioni sul culto delle reliquie di santi e beati, non solo dell’Ordine, conservate a Malta, e persino sulle celebrazioni nelle quali i Cavalieri professi, appartenenti al “Convento”, erano tenuti ad indossare il caratteristico “manto di punta”: un uso che, fatta salva l’evoluzione del calendario liturgico, si mantiene tuttora per il ceto di Giustizia. Dall’ampio affresco tracciato da Scarabelli emerge un dato, forse finora sottovalutato, che permette di ridimensionare una certa percezione vulgata e superficiale dei Fratres milites gerosolimitani: non una confraternita di rudi combattenti, interessati più alle armi che alle cose dello spirito, bensì, prima di tutto, un Ordine religioso dedito alla glorificazione di Dio e alla santificazione dei suoi membri, specialmente nella rigorosa osservanza di una pratica cultuale che, nei tempi e nei modi, s’inserisce da sempre nella più genuina tradizione dell’ortodossia cattolica.

Marco Rinaldi




Il rilievo della caritas nel diritto canonico


IConfessione e dichiarazione delle parti nelle cause canoniche di nullità matrimoniale/I, Cedam, Padova 2003, 199 pp., euro 17,00

IConfessione e dichiarazione delle parti nelle cause canoniche di nullità matrimoniale/I, Cedam, Padova 2003, 199 pp., euro 17,00

La verità fu l’oggetto della domanda che Pilato lanciò al Re dell’Universo e costituisce ancora tema di indagine sotto i più svariati profili. Poche volte si ha presente invece che la verità è anche il vero oggetto dei processi matrimoniali canonici. A dire il vero è difficile accorgersene in quei casi in cui il processo è utilizzato dalle parti nel loro combattersi (grazie alla distinzione, accolta dalla legge italiana, tra il divorzio e la nullità sul piano economico) per diminuire i loro obblighi economici nei confronti dell’altro coniuge. Per ciò risulta fondamentale l’impegno dei canonisti nello spiegare la vera natura del processo e, in particolare, il valore delle dichiarazioni che parti e testimoni svolgono in esso.
E infatti questo è stato lo scopo del convegno che si è svolto a Verona il 10 maggio 2001 presso l’antico Studium veronense. Hanno partecipato giuristi dell’Accademia – Sandro Gherro, Stefania Martin e Giuseppe Comoti – e notissimi operatori giuridici – monsignor Francesco Salerno, il cardinale Tarcisio Bertone, monsignor Joaquín Llobell e il rinomato giudice rotale monsignor José María Serrano Ruiz. I contributi studiano l’evoluzione che ha subito l’ordinamento canonico in relazione a questa prova così importante: la confessione e le dichiarazioni delle parti. Si apprende allora che, tranne il periodo di vigore del Codex iuris canonici del 1917, tale strumento probatorio ha goduto di una particolare considerazione per riconoscere giuridicamente la realtà sostanziale di un fatto, il matrimonio, che, nonostante nasca dal libero consenso dei coniugi, supera i limiti di ogni aspettativa soggettiva. Ma sorprende ancora di più il movente della fiducia che la Chiesa ha riconosciuto a queste dichiarazioni. La causa ultima di questo atteggiamento fiducioso si trova nella caritas che fa riconoscere in ogni uomo la vera immagine di Dio. Ma, trattandosi di uno studio giuridico, si esamina l’evoluzione della rilevanza avuta da questa prova processuale nelle fonti del Medioevo, così come nei dibattiti previi ai Codici del 1917 e 1983, oltre che negli indirizzi che la giurisprudenza rotale avanzò nel periodo intercodiciale.
Il lettore attento troverà, quindi, in quest’opera, oltre le dotte spiegazioni delle garanzie che un diritto multisecolare offre per tutelare la verità di un fatto accaduto, due elementi pregevoli: il senso della tradizione giuridica che informa il diritto della Chiesa e, soprattutto, l’attaccamento a una verità che diviene ragion di vita.

José Ignacio Alonso Pérez


Español English Français Deutsch Português