Recensioni
Concorso di colpa
Alessio Brandolini, Il male inconsapevole, Il Ramo d’Oro, Trieste 2005, 78 pp., euro 14,00
Si tratta di testimoniare, in poesia, una correità. Tanto più colpevole in quanto distratta, sonnolenta, svagata. Nelle poesie Brandolini prova a raccontare tutto il male del mondo: quello privato, magari esercitato in un rapporto d’amore, quello mondiale, dalle bombe sull’Iraq allo tsunami del 2004. Le cose che non si vogliono vedere o, meglio, le cose che non si riescono a vedere distintamente, perché il nostro mondo ha in sorte solo «quel che resta degli occhi». «Dopo anni di galera gli occhi si rimettono in moto / e fanno vedere giovani donne dal seno poderoso / scavalcano il buio la siepe l’erba il prato / ci si imbatte in un uomo: un padre, forse / e l’ombra che ci insegue /... / Altrimenti il buio vizia e il mondo squarta».
Ossimoro e polisemia, da tanto tempo pilastri del fare poetico, non sono più l’appiglio per la famigerata coincidentia oppositorum. Nella poesia del Male inconsapevole si fanno voce proprio di quel concorso di colpa, del male insito nell’uomo e nelle cose degli uomini. Il linguaggio di Brandolini, infatti, è denso, concentrato, ellittico come non era mai stato nei due suoi libri poetici precedenti. Senza rinunciare, però, a raccontare delle storie. Il drammatico – nel senso di dialettico e teso – rapporto con la parola, qui, viene reso materia poetica esso stesso: «Ho portato le labbra da un calzolaio / l’ultimo della zona ad indossare / sempre un camice di cuoio / imbrattato di lucidi di ogni colore. / Me le ha cucite per bene con un ago speciale / tanto che il dolore era davvero insopportabile /e il filo d’acciaio appena si vede / così per non parlare avremo la scusa buona / potremo starcene sempre muti». Poter «scrivere ma non parlare»: lasciando alla poesia il compito di evocare immagini, di scavare emozioni, di riconoscere silenzi che raccontano.
Cristiana Lardo
I giusti in tempi ingiusti
Giancarlo Elia Valori, I giusti in tempi ingiusti, Rizzoli, Milano 2005, 180 pp., euro 16,00
Giancarlo Elia Valori si sofferma sugli orrori dell’Olocausto, un capitolo della storia che ha messo in evidenza l’espressione più profonda del Male che il genere umano abbia mai potuto dimostrare e, nello stesso tempo, l’altezza del sacrificio altruista a cui assursero i «giusti fra le nazioni». Su uno sfondo storico ricco e tratteggiato con precisione e sensibilità estreme, Valori porta alla ribalta il valore di questi uomini e donne eccezionali che misero a rischio la loro vita nello sforzo di salvare decine di migliaia di ebrei nell’Europa occupata di quei terribili anni.
L’autore dipinge una commovente testimonianza della nobiltà dell’animo umano messo di fronte a una prova estrema, che trasforma la gente comune in eroi ed eroine del nostro tempo. Non basta, infatti, che un gentile abbia salvato degli ebrei durante l’atroce periodo della Seconda guerra mondiale per essere definito «giusto tra le nazioni». No. È necessario che abbia agito a rischio della propria persona, mettendo in pericolo la propria vita per salvare quella di un suo simile, per raggiungere le schiere di quegli uomini e quelle donne che con le loro azioni riscattano il genere umano dalla follia e dalla crudeltà degli altri.
La misericordia e la gentilezza non conoscono confini né di razza né di religione. Nella storia dei giorni nostri abbiamo visto Paesi straziati dai conflitti, come il Ruanda, la Bosnia e il Kosovo, devastati dall’odio razziale e dalle atrocità commesse in suo nome, e in questa stessa arena hanno assunto rilevanza grandi gesti di gentilezza umana, coraggio e audacia. Ancora una volta sono stati compiuti da attori occasionali, che sono stati all’altezza della situazione e hanno rifiutato di chiudere gli occhi di fronte alla violenza che stava lacerando quei Paesi e di restare inerti quando essa prese il sopravvento e di fronte alle grandi sofferenze che essa generò.
I veri giusti sono esseri umani nel senso reale della parola perché dimostrano amore e compassione per coloro che vengono perseguitati in quanto diversi o giudicati non uguali agli altri. L’incitamento all’odio proviene spesso dai detentori del potere e i giusti servono da scudo contro atti barbarici che non conoscono confini. Dobbiamo essere eternamente grati a coloro che hanno scelto la moderazione, la comprensione e la tolleranza invece della violenza e della distruzione, trasformando così il nostro mondo in un luogo migliore in cui vivere.
Giancarlo Elia Valori crede che il Bene, rappresentato dai giusti, prevarrà sulla terra. Vede Gerusalemme come l’asse morale e religioso del mondo di oggi, ed è convinto che, alla fine, le forze della pace emergeranno da questa Città eterna che, come ai tempi della Bibbia, sarà un simbolo di pace e giustizia in un mondo tormentato.
Riflessioni sul Credo
Francesco Magni, Riflessioni sul credo, Cantagalli, Siena 2005, 308 pp., euro 18,00
Diavolo di un romanzo
Gaetano Andrisani, Il diavolo, «La Diana», Caserta 2005, 426 pp., euro 16,00
Il romanzo ha il pregio di portare nella dimensione dell’attualità un mondo di valori che sarebbe bene consegnare ai giovani d’oggi perché abbiano seriamente a riflettere. Sono pagine scritte tutte con l’entusiasmo culturale di chi ha una storia in animo da narrare, che deve essere raccontata, perché divenga paradigma di altre avventure, che hanno senso quando sono, davvero, avventure dell’umano.
I riformisti nella storia dell’Italia repubblicana
Luigi Covatta, Menscevichi. I riformisti nella storia dell’Italia repubblicana, Marsilio, Venezia 2005, 293 pp., s.i.p.
La lettura che Luigi Covatta fa di questo periodo nel suo libro Menscevichi ha ritmi incalzanti. Si vengono a scoprire particolari al tempo sfuggiti, forse per la voglia di arrivare a conclusioni un po’ scontate (si veda ad esempio la descrizione, a nostro avviso affrettata, del ruolo avuto da Dossetti nella Democrazia cristiana), ma indubbiamente con il pregio di riportare in superficie alcuni fatti che fanno meglio comprendere i mutamenti di quegli anni. Attraverso testimonianze personali, Covatta presenta analisi spesso originali e documentatissime, riguardanti anche fatti poco noti. È un bel ripasso degli ultimi anni della nostra storia. Il libro contiene poi un “Memoriale sul craxismo” (p.127). “Memoriale” – annota Luciano Cafagna nella prefazione – sta qui non per “rapporto su”, ma proprio nel senso di testimonianza memorialistica: è ovvio che più i tempi si avvicinano e meno si riesce a guadagnare facilmente una prospettiva storica, e meno si è assistiti… dal conforto di altrui riflessioni che abbiano storiografico carattere. Sono pagine interessanti, queste sul decennio craxiano, dalle quali traspare indubbiamente lo spirito di condivisione e appartenenza dell’autore a un progetto riformista dell’Italia che alla fine non si realizzò, non ebbe compiuta realizzazione e che forse si sta ancora inseguendo.
Il prete e la sua immagine
Cei-Servizio nazionale per il progetto culturale, Il prete e la sua immagine, Edb, Bologna 2005, 110 pp., euro 6,50
Cinque sono i saggi raccolti nel volume. Il primo saggio, scritto da Umberto Folena, vicedirettore de L’Adige di Trento, delinea quattro profili del prete: il prete presente, il prete individualista, il prete della comunità, l’uomo di Dio. Nei quattro profili si riconoscono anche quattro modelli differenti di parroci, che rimangono per antonomasia i modelli del prete italiano. Nel secondo saggio, il sociologo Luca Diotallevi tenta un’analisi della figura del prete dentro le trasformazioni istituzionali, che riprende un lavoro presentato alla Cei nel 2003 e anticipa una ricerca in corso di pubblicazione da parte della Fondazione Agnelli e intitolata La parabola del clero. Nel saggio, particolarmente provocatoria è l’indicazione che la dimensione qualitativa della crisi del clero in Italia è più importante della dimensione quantitativa del fenomeno stesso. Il terzo saggio di don Dario Viganò, docente dell’Università Lateranense di Roma, descrive il modello del prete che emerge sul piccolo e grande schermo: più bonario nel primo (pensiamo alla fiction Don Matteo) e più problematico nel secondo (si pensi al capolavoro di Bresson Il diario di un curato di campagna). Andrea Riccardi dell’Università degli studi di Roma Tre, nel quarto saggio azzarda il senso e i tratti di una storia del clero in Italia nella seconda metà del Novecento. Una storia, quella del secondo Novecento, «marcata da una difficile transizione» oltre che da continue sollecitazioni. Il volume si chiude con un saggio di Gianni Ambrosio, che afferma come la questione del prete è una «questione centrale e decisiva per l’intera comunità ecclesiale». Occorre, però, evitare che, in situazione di crisi e di diminuzione del clero, si crei una deriva di “funzionalismo” o di “professionalizzazione” del clero che impoverirebbe il senso del ministero come dono e gratuità dentro una comunità «tutta responsabile». Il testo, veramente degno di attenzione in un momento in cui la Chiesa italiana si rilegge dentro i “cambiamenti”, si chiude con una bibliografia ragionata riguardante la figura del prete.