Recensioni
Come è fatto un cristiano
Don Chino Biscontin, Come è fatto un cristiano, Edizioni biblioteca dell’immagine, Pordenone 2006, 168 pp. , euro 12,00
Il passaggio dall’esperienza al comportamento viene presentato attraverso una interessante rilettura, in chiave moderna, attuale, delle beatitudini del Vangelo, con puntuali e pertinenti riferimenti a documenti del magistero sociale della Chiesa che chiamano in causa l’atteggiamento dei cristiani nel sociale: cito, per tutti, la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica firmata dall’allora cardinale Ratzinger, oggi papa Benedetto XVI, o il documento del 1991, della Commissione Giustizia e pace, Educare alla legalità.
Quattro giorni, quarant’anni
Davide Rondoni, Quattro giorni quarant’anni con padre Bepi in Sierra Leone, Bur, Milano 2006, 168 pp., euro 8,60
Nella missione di padre Bepi si trovano faccia a faccia il guerrigliero, il rapito e la sorella che per trovarlo ha percorso centinaia di chilometri. Trovano spazio molti personaggi, e non solo africani, che compongono il mondo del missionario, completandone il quadro. Da tutto emerge la forza della carità cristiana che da quarant’anni muove il cuore, malandato, le gambe e le braccia di padre Bepi.
I cristiani che fecero l’Europa
Gerlando Lentini, Alle radici cristiane dell’Unione europea, Città Nuova, Roma 2004, 96 pp., euro 6,00
La ricerca è stata pubblicata in lingua italiana, francese e slovena.
Roma russa
Aleksej Kara-Murza (a cura di Valerij S. Sirovskij), Roma russa, Sandro Teti Editore, Roma 2005, 358 pp., euro 35,00
La storia inizia, simbolicamente, addirittura prima della nascita della prima organizzazione statale russa, la Rus’ di Kiev, con la missione dei due apostoli degli slavi, i fratelli Cirillo e Metodio, che nell’863 furono inviati a evangelizzare le terre morave. Cirillo, il cui nome secolare era Costantino, morì a Roma in odore di santità e fu sepolto nella Basilica di San Clemente nel 869, dove le sue spoglie riposano tuttora.
Nel rapporto con Roma, la cultura russa sembra contraddistinta da una sorta di “sindrome romana”. Roma parlava e parla del passato, di un passato storico fondante per la cultura occidentale, passato che i russi non hanno vissuto, non hanno condiviso e non sono unanimi sul fatto se iscriverlo o no nel proprio albero genealogico. Roma vanta una sorta di “primogenitura” in campo culturale, giuridico, religioso, politico, che ha sempre interrogato e diviso gli intellettuali russi. Roma costringe a confrontarsi con la cultura classica, col diritto romano, con l’idea di impero, col primato della Chiesa di Roma.
Dopo la caduta di Costantinopoli sotto il giogo ottomano nel 1453, nel giovane Stato della Moscovia inizia a prendere corpo l’idea della translatio imperii ad Russos, dell’alternanza delle “Rome” alla guida politica e religiosa dell’ecumene cristiano: dalla prima Roma alla seconda, Costantinopoli, fino alla terza Roma – da intendersi o come Mosca o come Russia – che durerà fino alla fine dei tempi, poiché «non ve ne sarà una quarta», come asseriva il monaco Fiofej nell’epistola del 1523 a Michail Munechin, cancelliere di Pskov. È l’ideologia di «Mosca Terza Roma», che inizia progressivamente a diffondersi.
Una vera e propria “sindrome romana” dominerà Pietro il Grande, lo zar riformatore, artefice della “grande occidentalizzazione” della Russia. Tra i modelli che egli terrà presente nella creazione dello Stato russo moderno spicca la Roma imperiale, dei cui simboli del potere si servirà generosamente. Trasformerà il granducato di Moscovia in Impero russo, edificherà la “sua” nuova capitale come una città imperiale, in un continuo gioco di rimandi a Roma: San Pietroburgo (che vuol dire “città di San Pietro”), con la Cattedrale intitolata agli apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma, consacrata nel giorno della festività dei due santi, il 29 giugno, e dotata, come la Basilica di San Pietro, della cupola più alta di tutti gli edifici della città. Inoltre nell’ideare lo stemma di San Pietroburgo, lo zar “copierà” quello del Vaticano – due chiavi incrociate con le fernette in su – e vi riprodurrà due ancore incrociate con le marre rivolte verso l’alto. Si fregerà di attributi romani, facendosi effigiare in una medaglia del 1724 vestito da romano.
Dall’inizio dell’Ottocento, intere generazioni di artisti russi hanno iniziato ad andare a Roma per studiare, formarsi, imparare sull’esempio degli antichi e dei maestri del Rinascimento. In tal modo la Città eterna ha esercitato un influsso potente sull’arte russa moderna, su cui l’“effetto Roma” ha avuto un impatto fortissimo, modellizzante.
Per quanto possa sembrare strano, data l’importanza del tema, nessuno aveva ancora pensato di riunire in un volume sia la ricostruzione storico-documentaria dei soggiorni romani di illustri personalità della cultura russa sia le impressioni, le opinioni, le reazioni prodotte in loro dall’impatto con la città, fissate in diari, epistolari, saggi, opere letterarie. I testi qui raccolti da Aleksej Kara-Murza coprono all’incirca un secolo e mezzo del fertile e tormentato rapporto tra la Russia e la Città eterna: dagli anni Trenta dell’Ottocento alla fine del Novecento, il periodo di scambio più intenso e vitale.
Il rapporto tra Roma e i russi è tuttora assai vitale. Nella sua lunga storia c’è però una pietra d’inciampo: la mancata istituzione di un’Accademia russa, che permetta ad artisti, scrittori, intellettuali di perfezionare la loro formazione a Roma.
Questo sogno è stato carezzato da due giganti della letteratura russa, entrambi amanti di Roma e presenti in questo volume: Nikolaj Gogol’ e Iosif Brodskij.
L’incomparabile chiusa delle Elegie romane (1981) di Brodskij sta diventando, per via delle numerose citazioni, la sigla poetica della millenaria fascinazione che Roma ha esercitato e continua a esercitare sui russi: «Io sono stato a Roma. Inondato di luce. Come può soltanto sognare un frammento! Una dracma d’oro è rimasta sopra la mia rètina. Basta per tutta la lunghezza della tenebra».
Sono morti per l’Italia
Paolo Piovaticci, Sono morto per l’Italia, Fruska, Stia (Ar) 2006, 278 pp., euro 25,00
Leggendo il racconto, tornano alla mente le coraggiose pagine de Il sangue dei vinti e di Sconosciuto 1945, di Giampaolo Pansa, e, ancora, le “rivelazioni” del suo ultimo libro appena uscito, La grande bugia. Le sinistre italiane e il sangue dei vinti. Pagine di un’altra storia della Liberazione: il non detto, il nascosto, gli episodi celati della guerra civile. E, ancora, gli opportunismi ideologici che spesso hanno cancellato parte di quello che è veramente successo nei venti mesi tra i più duri della nostra storia. Quello di Rovetta (la tomba monumentale dei giovani caduti si trova nel Verano, a Roma), è un inedito fatto di sangue, uno degli episodi “controcorrente”. Forse il fratello di Guido, Paolo Piovaticci, nel raccontare il fatto in Sono morto per l’Italia si lascia guidare la mano più dal sentimento d’affetto verso il fratello che da rigorose valutazioni storiche. Ma come dargli torto? La ricerca della verità, in quelle “zone d’ombra” che rendono contraddittoria una univoca interpretazione storica, è destinata a fare i conti col sentimento (o ri-sentimento?). Forse una visione un po’ più distaccata (ma come fare?) avrebbe contribuito a evidenziare maggiormente il sacrificio di Guido e degli altri ragazzi. Guido faceva parte del battaglione Camilluccia, formatosi presso la Caserma Camilluccia della capitale, soprattutto per il volontario accorrere di giovani e giovanissimi, operai e studenti, che avevano aderito alla Rsi (Repubblica sociale italiana).
La descrizione di quel 28 aprile 1945 (cap. XII) è scandita dalla descrizione minuziosa di particolari che invadono anche i tempi successivi: la figura del parroco di Rovetta e il ruolo da lui avuto nel fatto; la corrispondenza tra don Bravi e la mamma di Guido, Jolanda, negli anni immediatamente successivi all’accadimento...
Lo stupore di Dio
Nicola Scopelliti – Francesco Taffarel, «Lo stupore di Dio». Vita di papa Luciani, Edizioni Ares, Milano 2006, 342 pp., euro 20,00
Giovanni Ricciardi