Rubriche
tratto dal n.03 - 2000


Montanelli: Wojtyla lascerà in macerie la Chiesa che abbiamo conosciuto.

Scalfari: Non sarà Giovanni Paolo II a cambiare la natura degli uomini


La cacciata dal Paradiso terrestre, Cappella Sistina, Roma

La cacciata dal Paradiso terrestre, Cappella Sistina, Roma

«In un colloquio avuto qualche anno fa a cena con lui nel suo appartamento privato [...] capii, o credetti di capire, che quel Papa intenso e inteso a frugare dentro se stesso avrebbe lasciato dietro di sé un cumulo di macerie: quelle della struttura autoritaria e piramidale della curia romana. Ora mi sembra di capire che quella intuizione vagamente catastrofica peccava, sì, ma per difetto: quelle che papa Wojtyla si lascerà dietro non sono le macerie soltanto della curia, ma della Chiesa, o almeno di quella che da duemila anni siamo abituati a considerare tale e ci portiamo, anche noi laici, nel sangue». Così Indro Montanelli nell’editoriale del Corriere della Sera del 9 marzo titolato Interrogativi su un Pontefice. Colpe della Chiesa, sacrificio di Wojtyla.
Mea culpa del Papa. Una voce nel deserto: con questo titolo la Repubblica del 12 marzo ha pubblicato un lungo editoriale del suo fondatore, Eugenio Scalfari. Dopo aver descritto il gesto di Wojtyla come «spettacolo intriso di una spiritualità, di una mistica e di una teatralità grandiose», e osservato che si tratta di «un atto politico essenziale», Scalfari concludeva: «Tutto ciò detto, a me piacerebbe vedere i cristiani essere e ridiventare cristiani. Per quelli che veramente lo sono ho grande stima e ne sono amico. Purtroppo sono assai pochi. Perciò comprendo l’ansia del Papa, ma non sarà Giovanni Paolo II a cambiare la natura degli uomini. Adamo mangiò il frutto dell’albero proibito e l’homo sapiens nacque fuori dal Paradiso. Così sarà fino a quando la specie non sarà estinta».




De civitate Dei.

Teissier: sant'Agostino “pontiere” tra cristianesimo e islam


L’antica Ippona, in Algeria

L’antica Ippona, in Algeria

Interessante intervista dell’arcivescovo di Algeri, Henri Teissier, al settimanale della diocesi di Bergamo La nostra Domenica (19 marzo). Il presule, indicando i segni di speranza per la Chiesa algerina, segnala: «Inoltre, dopo un lungo oblìo, c’è un rinnovato interesse sulla figura di sant’Agostino e sono stato invitato a parlarne in una conferenza». «Il genio di sant’Agostino può contribuire a costruire ponti?», chiede l’intervistatore. Risposta: «Penso proprio di sì, anzi stiamo pensando a un congresso sulla figura del santo. Il tema agostiniano della “Città di Dio” è importante, visto che l’islam parla di città umana legata alla legge religiosa. La posizione di Agostino è aperta: la “Città di Dio” entra nella “Città dell’uomo”, ma non si possono confondere: la “Città di Dio” è una chiamata attraverso la coscienza degli uomini e non attraverso una struttura che scende nella società. Agostino può dare molto alla società algerina sul piano filosofico, politico e religioso».




Van Thuân

predica gli esercizi


François Xavier Nguyên 
Van Thuân

François Xavier Nguyên Van Thuân

Dal 12 al 18 marzo si sono svolti in Vaticano, come accade ogni anno in Quaresima, gli esercizi spirituali. Questa volta sono stati predicati da François Xavier Nguyên Van Thuân, 72 anni, vietnamita, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. Finora, durante l'attuale pontificato, nessun asiatico aveva predicato gli esercizi.




Ventennio.

Kissinger: «L’arroganza di chi ritiene di essere nel giusto»


Henry Kissinger

Henry Kissinger

Interessante intervista ad Henry Kissinger sulla Welt am Sonntag e ripresa dalla Repubblica del 26 marzo riguardo le elezioni russe e altro. Ad un certo punto l’intervistatore chiede: «La storia dimostra che una prolungata egemonia di un Paese conduce a una sorta di rifiuto da parte di tutti gli altri. Fino a quando è possibile che in ogni conflitto sulla terra sia il presidente americano ad avere l’ultima parola? Per molti questo diventa arroganza». Risposta del segretario di Stato del presidente Nixon: «Non si tratta di arroganza del potere, ma di arroganza da parte di chi ritiene essere nel giusto. È il dibattito che da vent’anni ormai si sviluppa in America tra Realpolitik e politica morale. Questa è la generazione cresciuta nell’era del Vietnam, non crede davvero nella Storia. Il dilemma dell’America è che siamo la nazione più forte mai esistita sotto ogni aspetto: militarmente, economicamente, e in quanto polo di attrazione culturale. La cultura americana è imitata in tutto il mondo. Dall’altra parte gli americani non si considerano imperialisti. Quando l’America esercita la sua leadership nel mondo – troppo spesso, per i miei gusti – lo fa in nome di quelli che considera principi universali. Si può anche definirlo un delirio, ma è un dato di fatto della vita politica. Secondo me un’egemonia americana non è positiva, né per gli Usa né per l’Europa. Quando un Paese esercita un’egemonia ogni problema di politica internazionale diventa un problema di politica interna. La politica interna, almeno in democrazia, può contare su fattori di compensazione. Ma quando una dinamica di politica interna si applica ad altri Paesi, esistono ben pochi fattori di compensazione. Questo ci dà l’impressione di dover risolvere da soli tutti i problemi ed è al di là delle nostre forze, sia fisiche che morali. Basta anche vedere come è stata affrontata la questione del nuovo capo del Fondo monetario internazionale». Ulteriore domanda: «Questo modo di agire è dovuto alla generazione di Clinton, ovvero i figli del baby-boom?». Risposta di Kissinger: «Sì, penso all’amministrazione Clinton. È il prodotto di quest’era, è stata formata in quest’era. Esistono due categorie di persone che oggi sono al potere e che ci resteranno forse ancora a lungo: una è la Vietnam generation che si sente moralmente superiore alla mia generazione. Non ha una grande considerazione della diplomazia tradizionale o dell’equilibrio geopolitico. Giustifica il proprio pensiero politico con una sorta di legittimità morale. Il paradosso sta nel fatto che i sostenitori della Realpolitik dimostrano molta più comprensione per i sentimenti delle altre società di quanto non facciano i moralisti. Per la Vietnam generation non si tratta quindi di un senso di potere superiore, ma di una mancanza di comprensione per la psicologia e la storia di altre nazioni e società. Accanto alla Vietnam generation troviamo i suoi discendenti, cresciuti con i computer. Sono ancora più duri della Vietnam generation, ma hanno lo stesso pochissimi interessi e conoscenze storiche e geopolitiche. Così ci troviamo ad avere oggi in America una situazione in cui tre generazioni diverse lavorano sui diversi aspetti della politica: la mia generazione, la Vietnam generation e quella successiva».





Joseph Ratzinger
Una critica a Kasper sulla lettera Alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione

Dal 25 al 27 febbraio è stato celebrato in Vaticano il convegno internazionale di studio sulla attuazione del Concilio ecumenico Vaticano II. L’incontro si è svolto a porte chiuse e non è stato pubblicato nessuno degli interventi. Con una eccezione. L’Osservatore Romano del 4 marzo, infatti, dietro autorevole indicazione, ha ospitato la lunga relazione su «Lumen gentium. L’ecclesiologia di comunione» pronunciata dal cardinale Joseph Ratzinger domenica 27 febbraio.
Nel corso del suo intervento Ratzinger ha criticato le opinioni teologiche del teologo liberazionista brasiliano Leonardo Boff. E non è una grande novità. Sorprende invece che nello stesso testo si trovi una netta critica ad alcune affermazioni del vescovo Walter Kasper, tedesco, dallo scorso anno segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Il prefetto dell’ex Sant’Uffizio riferendosi alla lettera pubblicata nel ’92 dal suo dicastero su Alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, afferma: «Non si rende del tutto esattamente il senso del testo della Congregazione per la dottrina della fede, quando al riguardo Walter Kasper dice che la comunità originaria di Gerusalemme sarebbe stata di fatto Chiesa universale e Chiesa locale allo stesso tempo e continua: “Certamente questa rappresenta un’elaborazione lucana; infatti dal punto di vista storico esistevano presumibilmente sin dall’inizio più comunità, accanto alla comunità di Gerusalemme anche comunità in Galilea”». Continua Ratzinger: «Qui non si tratta della questione per noi ultimamente insolubile, quando esattamente e dove per la prima volta sono sorte delle comunità cristiane, ma dell’inizio interiore della Chiesa nel tempo, che Luca vuol descrivere e che egli al di là di ogni rilevamento empirico riconduce alla forza dello Spirito Santo. Soprattutto però non si rende giustizia al racconto lucano, se si dice che la “comunità originaria di Gerusalemme” sarebbe stata allo stesso tempo Chiesa universale e Chiesa locale. La realtà prima, nel racconto di san Luca, non è una comunità originaria gerosolimitana, ma la realtà prima è che nei dodici l’antico Israele, che è unico, diviene quello nuovo e che ora questo unico Israele di Dio per mezzo del miracolo delle lingue, ancora prima di diventare rappresentazione di una Chiesa locale gerosolimitana, si mostra come una unità che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi. Nei pellegrini presenti, che provengono da tutti i popoli, essa coinvolge subito anche tutti i popoli del mondo. Forse non è necessario sopravvalutare la questione della precedenza temporale della Chiesa universale, che Luca nel suo racconto propone chiaramente. Importante resta nondimeno che la Chiesa nei dodici viene generata dall’unico Spirito fin dall’inizio per tutti i popoli e pertanto anche sin dal primo istante è orientata ad esprimersi in tutte le culture e proprio così ad essere l’unico popolo di Dio: non una comunità locale si allarga lentamente, ma il lievito è sempre orientato all’insieme e quindi porta in sé una universalità sin dal primo istante. La resistenza contro le affermazioni della precedenza della Chiesa universale rispetto alle Chiese particolari è teologicamente difficile da comprendere o addirittura incomprensibile. Comprensibile diviene solo a partire da un sospetto che sinteticamente è stato così formulato [da Kasper, ndr]: “Totalmente problematica diventa la formula, se l’unica Chiesa universale viene tacitamente identificata con la Chiesa romana, de facto con il Papa e la curia. Se questo avviene, allora la lettera della Congregazione per la dottrina della fede non può essere intesa come un aiuto alla chiarificazione della ecclesiologia di comunione, ma deve essere compresa come il suo abbandono e come il tentativo di una restaurazione del centralismo romano”. In questo testo l’identificazione della Chiesa universale con il Papa e la curia viene dapprima introdotta come ipotesi, come pericolo, ma poi sembra di fatto essere attribuita alla lettera della Congregazione per la dottrina della fede, che così viene ad apparire come restaurazione teologica e quindi come distacco dal Concilio Vaticano II. Questo salto interpretativo sorprende, ma rappresenta senza dubbio un sospetto largamente diffuso; esso dà voce ad un’accusa che si ode tutt’intorno, ed esprime bene anche una crescente incapacità a rappresentarsi sotto la Chiesa universale, sotto la Chiesa una, santa, cattolica qualcosa di concreto. Come unico elemento configurabile restano il Papa e la curia, e se si dà ad essi una classificazione troppo alta dal punto di vista teologico, è comprensibile che ci si senta minacciati».
Il testo di Ratzinger pubblicato sull’Osservatore Romano manca delle note. Comunque le citazioni criticate dal prefetto sono tratte dal saggio di Kasper su Teologia e prassi del ministero episcopale (Zur Theologie und Praxis des bischöflichen Amtes), tratto da un volume di scritti pubblicato lo scorso anno in onore del vescovo di Hildesheim per i suoi settanta anni (Essere Chiesa in modo nuovo. Realtà, sfide, cambiamenti. Scritti in onore del vescovo Josef Homeyer a cura di Werner Schreer e Georg Steins – Auf neue Art Kirche sein. Wirklichkeiten-Herausforderungen-Wandlungen. Festschrift für Bishof Dr. Josef Homeyer). Il volume in questione è stato reso noto dopo la nomina di Kasper in Vaticano avvenuta il 16 marzo dello scorso anno. L’articolo era stato presumibilmente compilato prima.


Papa e Tradizione/1
«Leggere il Concilio supponendo che esso comporti una rottura col passato è decisamente fuorviante»

«Tornano alla mente, in questo frangente, le significative parole di san Vincenzo di Lérins: “La Chiesa di Cristo, premurosa e cauta custode dei dogmi a lei affidati, non cambia mai nulla di essi; nulla diminuisce, nulla aggiunge; non amputa ciò che è necessario, non aggiunge ciò che è superfluo; non perde ciò che è suo, non si appropria di ciò che è di altri; ma con ogni zelo, attendendo con fedeltà e saggezza agli antichi dogmi, ha come unico desiderio di perfezionare e levigare quelli che anticamente ricevettero una prima forma e un primo abbozzo, di consolidare e rafforzare quelli che hanno già risalto e sviluppo, di custodire quelli che sono già stati confermati e definiti” (Commonitorium XXIII)».
«La Chiesa da sempre conosce le regole per una retta ermeneutica dei contenuti del dogma. Sono regole che si pongono all’interno del tessuto di fede e non al di fuori di esso. Leggere il Concilio supponendo che esso comporti una rottura col passato, mentre in realtà esso si pone nella linea della fede di sempre, è decisamente fuorviante. Ciò che è stato creduto da “tutti, sempre e in ogni luogo” è l’autentica novità che permette a ogni epoca di sentirsi illuminata dalla parola della rivelazione di Dio in Gesù Cristo».
Due brani tratti dal discorso pronunciato da Giovanni Paolo II il 27 febbraio a conclusione dei lavori del convegno internazionale di studio sull’attuazione del Concilio ecumenico Vaticano II.


Papa e Tradizione/2
Wojtyla cita Clemente, Origene, Atanasio e Cirillo. Shenouda III solo gli ultimi due

Durante il pellegrinaggio giubilare in Egitto (24-26 febbraio) Giovanni Paolo II ha elencato le glorie della antica Chiesa d’Egitto e di Alessandria in particolare. «In tempi cristiani» ha detto «la città di Alessandria, dove fu fondata la Chiesa dall’evangelista Marco, discepolo di Pietro e di Paolo, ha donato noti scrittori ecclesiastici come Clemente e Origene e grandi padri della Chiesa come Atanasio e Cirillo». Durante lo stesso viaggio papa Shenouda III, patriarca della Chiesa copta, ha anche lui fatto un elenco di personaggi illustri della sua Chiesa. Con qualche omissione rispetto al Papa di Roma: «Le diamo il benvenuto, Santità, in Egitto, [...] la terra di san Marco che fondò la nostra Chiesa, la terra di sant’Atanasio, teologo capo del Concilio ecumenico di Nicea e la terra di san Cirillo d’Alessandria che difese la fede contro il nestorianesimo».


Mea culpa/1
Il dibattito fra Scalfari e Forte

Eugenio Scalfari ha ingaggiato un doppio botta e risposta col teologo Bruno Forte, presidente della sottocommissione della Commissione teologica internazionale che ha preparato il documento Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato. Scalfari (19 marzo) firma un lungo editoriale dal titolo Le coppie di fatto e la morale del papa in cui si afferma in sintesi che «nel documento sul mea culpa la Chiesa arriva per la prima volta ad ammettere la relatività di scelte etiche». Pronta la risposta di Forte (21 marzo): afferma che la morale della Chiesa non cambia, elogia lo Scalfari «giornalista di classe», ma bastona lo Scalfari «“teoreta morale”». Il giornalista non ci sta e il giorno 23 firma un altro commento dal titolo Quando non c’era colpa in nome della Chiesa in cui ribadisce i concetti espressi in precedenza. Anche il teologo non ci sta e il giorno 24 compare una sua lettera in merito alla questione, cui segue la risposta di Scalfari, il quale conclude «manzonianamente che la fede è come il coraggio: chi non ce l’ha non se lo può dare».


Mea culpa/2
Christodoulos: un passo positivo, ma...

Per l’arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia, Christodoulos, il perdono chiesto dal Papa il 12 marzo è un «passo positivo». «Riconoscere gli errori del passato non è cosa facile», ha detto il capo della Chiesa ortodossa ellenica, ma ha aggiunto: «Certo non siamo del tutto soddisfatti. Aspettavamo dal Papa di Roma che dicesse alcune cose che riguardano gli ortodossi dell’Oriente. Non lo ha detto, però, forse sta pensando di farlo nel futuro». Christodoulos ha fatto queste dichiarazioni durante una visita nel Museo ebraico di Atene, la prima di un leader della Chiesa greca.


Mea culpa/3
Cardinal Mahony: chiedo perdono agli omosessuali cattolici

«Chiedo perdono ai nostri cattolici omosessuali e alle nostre cattoliche lesbiche per quando la Chiesa è apparsa non appoggiare le loro battaglie o cadere nell’omofobia. L’arcidiocesi ha cercato di fare ammenda costituendo uno speciale ufficio per i nostri fratelli e sorelle omosessuali e lesbiche, includendoli pienamente nella vita delle nostre parrocchie, e stando attenta a proteggere i loro diritti civili». È uno dei mea culpa pronunciati dall’arcivescovo di Los Angeles, il cardinale Roger Michael Mahony, nel suo messaggio per la Quaresima del 2000.


Terra Santa/1
Martini: «Il pellegrinaggio è un atto di omaggio alla natura storica del cristianesimo»

«Il pellegrinaggio è dunque un atto di omaggio alla natura storica del cristianesimo, messaggio che parte da fatti avvenuti in luoghi e tempi determinati e non da teorie astratte, da deduzioni a priori, da proclamazioni disincarnate». Lo ha scritto il cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, sul Corriere della Sera del 19 marzo (Il Pontefice pellegrino in Terra Santa).


Terra Santa/2
Barak e le scintille di luce tra i “gentili”

Quando Giovanni Paolo II il 23 marzo, durante la sua visita a Gerusalemme, si è recato a Yad Vashem, il monumento in memoria dell’Olocausto, il premier israeliano Ehud Barak gli ha rivolto un saluto definendo «scintille di luce» i «giusti dei gentili, molti figli della sua fede, che segretamente rischiarono la loro vita per salvare la vita degli altri. I loro nomi sono per sempre iscritti nei nostri cuori».


Viaggi papali
Giovanni Paolo II a Fatima per beatificare i pastorelli

«Il Santo Padre ha accettato l’invito del vescovo di Fatima di tenere la cerimonia di beatificazione dei due pastorelli direttamente a Fatima. Giovanni Paolo II partirà il giorno prima, venerdì 12 [maggio], e il giorno 13 sulla spianata del santuario celebrerà la messa durante la quale beatificherà i due pastorelli». Lo ha annunciato a Radio Vaticana (21 marzo) l’arcivescovo Crescenzio Sepe, segretario generale del Comitato centrale del grande Giubileo dell’anno 2000. Alla cerimonia del 13 maggio è prevista la partecipazione anche di suor Lucia, la cugina ancora in vita di Francesco e Giacinta.


Sacro Collegio
Asiatici in calo: gli 80 anni di Pimenta e Sánchez; la morte di Kung Pin-mei e Padiyara

Il 1° marzo ha compiuto ottanta anni il cardinale indiano Ignatius Simon Pimenta, dal ’78 al ’96 arcivescovo di Bombay. Il 17 marzo ha raggiunto la stessa età il porporato filippino José T. Sánchez, dall’82 all’86 arcivescovo di Nuova Segovia. Dall’85 al ’91 è stato segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e dal ’91 al ’96 prefetto della Congregazione per il clero.
Il 12 marzo è morto il cardinale cinese Ignatius Kung Pin-mei, dal 1950 vescovo di Shanghai. Incarcerato dal regime di Pechino dal ’55 all’85, dall’88 risiedeva negli Stati Uniti. Creato in pectore nel concistoro del ’79, era stato pubblicato in quello del ’91. Avrebbe compiuto 99 anni il 2 agosto. Il 23 marzo è poi venuto meno il cardinale indiano Antony Padiyara, 79 anni, dall’85 al ’96 arcivescovo di Ernakulam-Angamaly e leader della Chiesa cattolica di rito siro-malabarese.
Il numero dei cardinali è sceso a 151, di cui 102 elettori. Fra questi ultimi gli asiatici scendono a dieci e vengono superati dagli africani (dodici) e dai nordamericani (dodici). Dei dieci asiatici: due sono filippini; due cinesi, uno di Hong-Kong e uno di Taiwan; un solo indiano (ultrasettantacinquenne). Dopo la morte di Kung Pin-mei il porporato più anziano è l’abruzzese Corrado Bafile, 97 anni a luglio.


Cardinale Sodano
La santità della Chiesa è denominata come oggettiva, mentre la santità dei cristiani è denominata come soggettiva

Il 16 marzo i docenti e gli studenti della Pontificia Università Salesiana hanno celebrato il Giubileo nella Basilica di San Pietro. La messa è stata presieduta da un loro confratello illustre: il vescovo premio Nobel per la pace Carlos Filipe Ximenes Belo. Successivamente i salesiani hanno ascoltato, nell’aula Paolo VI, una conferenza del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, su «L’amore alla Chiesa: un ricordo del Giubileo». Nel corso della conferenza, pubblicata quasi integralmente dall’Osservatore Romano del 18 marzo, il porporato non ha fatto cenno alla cerimonia e ai contenuti del cosiddetto mea culpa celebrati quattro giorni prima, cerimonia cui non aveva potuto partecipare perché inviato in Polonia come legato pontificio per il millennio dell’incontro di Gniezno. Ecco il brano della conferenza in cui Sodano esalta la santità della Chiesa:
«I teologi ci hanno ben spiegato come la Chiesa sia santa, nonostante sia composta di peccatori. Il Catechismo della Chiesa cattolica ha recentemente sintetizzato tale dottrina in alcune brevi pagine, illustrando l’articolo 9 del Simbolo apostolico, e cioè “credo nella santa Chiesa cattolica” (nn. 823-829). Sì, noi crediamo che la Chiesa è indefettibilmente santa. Unita a Cristo, è da lui santificata e per mezzo di lui diventa anche santificante. In forza di questo suo potere santificante, raggiunge ogni suo membro, lo purifica e lo trasforma. Diceva già Paolo VI di venerata memoria nel suo Credo del popolo di Dio: “La Chiesa è santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l’irradiazione della sua santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli, con il sangue di Cristo e il dono dello Spirito” (ibidem n. 19). L’anno scorso ho letto con grande gaudio interiore un bell’articolo che su tale argomento scrisse il vostro professore don Angelo Amato nella pubblicazione Dilexit Ecclesiam. Studi in onore del professor Donato Valentini, Libreria Ateneo Salesiano, Roma 1999. L’articolo è intitolato La Chiesa santa, madre di figli peccatori. Approccio ecclesiologico ed implicanze pastorali (ibidem, pp. 425-445). Ivi sono ben descritti i fondamenti biblici della santità della Chiesa, che viene comunicata da Cristo per mezzo del suo Santo Spirito. È una santità che non è solo una nota ornamentale, ma è una caratteristica essenziale della Chiesa, una caratteristica che preesiste ad ogni merito e ad ogni acquisizione di santità dei fedeli. È quella santità originaria che i teologi chiamano santità oggettiva, mentre la santità dei cristiani è denominata come santità soggettiva. Credere nella Chiesa santa è, quindi, credere in questa Chiesa sacramento di salvezza, sempre animata dallo Spirito che ne è l’anima vivificante. È però fuori dubbio che la Chiesa comprende nel suo seno tutti noi peccatori, che a volte resistiamo all’opera della grazia. Sant’Ambrogio usò a tale proposito la celebre frase: la Chiesa è “immaculata ex maculatis”, immacolata anche se i suoi membri sono sovente macchiati dal peccato. È questo l’insegnamento del Concilio ecumenico Vaticano II che nella costituzione Lumen gentium ci parla di una Chiesa “indefettibilmente santa” (n. 39), ma anche di una Chiesa sempre bisognosa di purificazione, “simul sancta et semper purificanda”(n. 8)».
Il cardinale Sodano nel corso del suo intervento ha fatto molte citazioni. Oltre a quelle riportate, ha fatto riferimento a santa Teresa di Lisieux («J’aime l’Eglise ma mère»), a san Cipriano («Habere non potest Deum Patrem qui Ecclesiam non habet matrem»), a san Giovanni Crisostomo, ad Alessandro Manzoni (La Pentecoste), a san Giovanni Bosco e a sant’Agostino. «Nel corso degli anni successivi (alla laurea in teologia, ndr)» ha raccontato il porporato «mi avvicinai poi di più alla lettura delle opere di sant’Agostino. E lì davvero ognuno trova sempre una miniera a cui attingere in ogni campo della dottrina cristiana».


Nomine
Paglia vescovo a Terni

Il 4 marzo monsignor Vincenzo Paglia è stato nominato vescovo di Terni-Narni-Amelia. Nato nel ’45 in provincia di Frosinone, del clero romano, il neovescovo è stato alunno del Seminario Romano ed è sacerdote dal ’70. Ha compiuto gli studi alla Lateranense, è stato viceparroco nel quartiere della periferia romana Casalpalocco; attualmente è assistente ecclesiastico del movimento che, dal ’75, è chiamato Comunità di Sant’Egidio. Dall’81 era parroco di Santa Maria in Trastevere. È postulatore della causa di beatificazione dell’arcivescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero, ucciso in chiesa dagli squadroni della morte venti anni fa. La notizia della nomina di Paglia è arrivata inattesa, almeno in Umbria («Sorpresa ha suscitato la nomina; non era fra i nomi che circolavano prima dell’annuncio», ha scritto La voce, il settimanale delle diocesi umbre del 17 marzo) e ha avuto un ampio risalto sulla stampa nazionale, con l’eccezione della Repubblica. È stato sottolineato che la nomina di Paglia è stata direttamente voluta da Wojtyla: «Motu proprio il Papa ha nominato vescovo di Terni, Narni e Amelia don Vincenzo Paglia...»; ha scritto Igor Man sulla Stampa del 6 marzo, e ha aggiunto: «La nomina di don Vincenzo, ci spiegano in Vaticano, “è un gesto di predilezione, una manifestazione di stima, di affetto”». Igor Man ha poi ricordato che «da anni Sant’Egidio corre per il Premio Nobel della pace ma io che li conosco bene, quelli della Comunità, temo che non sarà facile: i laici li ritengono un po’ clericali, e per quest’ultimi sono un po’ troppo laici» (sullo stesso quotidiano torinese, il 27 febbraio, era apparso un editoriale di Barbara Spinelli dal titolo Diplomazia suk, fortemente critico anche sulla Comunità di Sant’Egidio, «comunità che non di rado nelle sue azioni diplomatiche cerca di accordare le parti senza distinguere tra aggressori e aggrediti»). Sul Messaggero del 5 marzo Orazio Petrosillo ha commentato: «Questa è una di quelle nomine che sono personali del Papa in modo particolarissimo [...] Don Vincenzo è stato di casa in Vaticano per tutto il pontificato». Sempre Petrosillo ha sottolineato come Paglia «maturo per l’episcopato da una decina d’anni, ha ricevuto la rosa della nomina con la spina dell’andare fuori del Lazio, sebbene Terni sia la sede del capoluogo più vicino». Luigi Accattoli sul Corriere della Sera (5 marzo) ha scritto: «L’azione di pace, l’ecumenismo e il contatto con i giovani sono i “meriti” che gli vengono riconosciuti. In più è amico del Papa. Ma è anche criticato come presenzialista».
Fra i primi a complimentarsi con Paglia è stato l’ex presidente Francesco Cossiga che è stato il primo a regalargli uno zucchetto.
Il 15 marzo monsignor Paglia ha scritto una lettera ai sacerdoti della “sua” nuova diocesi. In essa cita un brano tratto dal De consideratione di san Bernardo: «Vi furono prima di te vescovi che si diedero totalmente a pascere il loro gregge, che si gloriavano dell’attività e del nome di pastore, che ritenevano indegno di loro solo quel che era contrario alla salute del gregge, che non cercavano il proprio interesse ma lo sacrificavano, prodighi invece di tutte le loro cure, delle loro sostanze, di loro stessi. Uno di essi ebbe a dire: “Quanto a me, mi consumerò per le vostre anime”. È come se dicessero: “Non siamo venuti per essere serviti ma per servire”; essi predicavano il Vangelo senza compenso ogniqualvolta ne avevano l’opportunità. L’unico guadagno che speravano dal gregge, la loro sola gloria, la loro sola gioia, era di preparare, per quanto possibile, un popolo perfetto al Signore».


Diplomazia
Nuovi nunzi in Messico, Spagna, Argentina e Venezuela. Un portoghese a Madrid, uno spagnolo a Buenos Aires

Il 1° marzo sono stati nominati i nunzi in Spagna e in Messico. A Madrid va Manuel Monteiro de Castro, 62 anni, portoghese. Prende il posto dell’ungherese Lajos Kada, 76 anni, a Madrid dal ’95. Nel servizio diplomatico dal ’67 ha lavorato a Panama, Guatemala, Vietnam, Australia, Messico e per sei mesi, nell’81, in Segreteria di Stato. Arcivescovo dall’85 è stato nunzio nelle Antille dall’85 al ’90, in El Salvador e Honduras dal ’90 al ’98, in Sudafrica, Namibia, Swaziland e Lesotho dal ’98 ad oggi. Durante la sua permanenza in America Centrale, nel ’95, è diventato arcivescovo di San Salvador il navarro Fernando Sáenz Lacalle, del clero dell’Opus Dei (una curiosità: lo scorso anno era stato nominato nunzio in Francia l’ex rappresentante pontificio in Perù e durante il suo servizio nel Paese sudamericano era diventato arcivescovo di Lima Juan Luis Cipriani Thorne, anche lui del clero dell’Opus Dei). I giornali spagnoli hanno accolto positivamente la nomina, nonostante sia un fatto inedito che un portoghese sia nominato nunzio in Spagna. La Vanguardia di Barcellona ricorda che la nomina di un lusitano in Spagna «fino a qualche decennio fa avrebbe provocato più di una smorfia di disgusto nei dispacci ufficiali di Madrid». E Abc definisce «ispanofilo» Monteiro de Castro. El Pais e Abc hanno sottolineato l’amicizia che lega Monteiro de Castro all’arcivescovo Giovanni Battista Re, sostituto alla Segreteria di Stato (“ministro degli Interni” vaticano).
In Messico è stato nominato Leonardo Sandri, 57 anni a novembre, argentino. Prende il posto dello spagnolo Justo Mullor García, trasferito alla guida della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Nella diplomazia pontificia dal ’74 ha lavorato in Madagascar e, dal ’77 all’89, in Segreteria di Stato, e poi negli Stati Uniti. Reggente della Casa pontificia dal ’91, assessore per gli affari generali (“viceministro degli Interni”) nel ’92, dal ’97 è arcivescovo e nunzio in Venezuela. I vertici dell’episcopato messicano hanno espresso il loro compiacimento per il nuovo arrivato perché si tratta di un arcivescovo latinoamericano e di «un uomo vicino al Santo Padre».
Il 4 marzo Santos Abril y Castelló, 65 anni, spagnolo, è stato nominato nunzio in Argentina. Sostituisce Ubaldo Calabresi, 75 anni, nunzio a Buenos Aires dall’81. In diplomazia vaticana dal ’67, Abril ha lavorato in Pakistan, Turchia e Segreteria di Stato. Arcivescovo dall’85, è stato nunzio in Bolivia (’85-89), in Camerun, Gabon e Guinea Equatoriale (’89-96) e dal ’96 nella Repubblica Federale di Iugoslavia. Abril è il primo nunzio in Argentina non italiano.
Il 27 marzo l’arcivescovo francese André Dupuy è stato nominato nunzio in Venezuela al posto di Leonardo Sandri. Nel servizio diplomatico pontificio dal ’74, Dupuy ha già lavorato in Venezuela e poi in Tanzania, Paesi Bassi, Libano, Iran, Irlanda e nella missione Onu di New York. Arcivescovo dal ’93 da quella data era nunzio in Ghana, Togo e Benin.


Curia romana
Un altro sottosegretario alla Congregazione per il clero

L’11 marzo monsignor Mauro Piacenza, genovese, 56 anni, è stato nominato secondo sottosegretario della Congregazione per il clero. Lavora nel dicastero vaticano dal ’91.


Italia
Cambiate le strutture ecclesiastiche delle Marche

L’11 marzo la Santa Sede ha reso note delle variazioni nella struttura ecclesiastica delle Marche. L’arcidiocesi di Ancona avrà come suffraganee le diocesi di Fabriano (prima immediatamente soggetta alla Santa Sede) e Jesi. Quella di Fermo avrà: Camerino, Ascoli Piceno (già immediatamente soggetta), Macerata, San Benedetto del Tronto, Senigallia (già suffraganea di Urbino), Loreto (già immediatamente soggetta). Per quanto riguarda le Marche settentrionali, Urbino non sarà più arcidiocesi metropolitana; al suo posto subentra Pesaro che avrà come suffraganee Urbino e Fano. Questi cambiamenti non hanno suscitato particolari reazioni da parte delle popolazioni locali, al contrario di quanto avvenuto in Calabria, dove la decisione vaticana di trasferire la sede episcopale dalla Piana di Gioia Tauro a Palmi da Oppido Mamertina ha provocato le vivaci reazioni degli abitanti di quest’ultima cittadina.


8 marzo
«Ecrasez la femme»

Sull’Osservatore Romano in edicola l’8 marzo – con la data del giorno successivo – è stato pubblicato il discorso pronunciato dal cardinale Joseph Ratzinger due giorni prima nel corso della presentazione del documento della Commissione teologica internazionale su Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato (cfr. p. 22). All’interno dell’articolo una singolare svista. Ad un certo punto Ratzinger cita la celebre frase di Voltaire riferita alla Chiesa cattolica: «Ecrasez l’infâme», che nel giornale pontificio però diventa: «Ecrasez la femme». E questo proprio nel giorno della festa delle donne. Provvidenziale la rettifica che L’Osservatore Romano ha pubblicato il giorno dopo.


Processi
Assolto il vescovo Hnilica

L’8 marzo, la settima sezione del tribunale penale di Roma ha condannato Flavio Carboni a quattro anni e sei mesi e il pregiudicato romano Giulio Lena a due anni per aver ricettato i documenti contenuti nella borsa del banchiere Roberto Calvi. Assolto dalla stessa accusa, perché il fatto non costituisce reato, monsignor Pavel Hnilica, il vescovo slovacco che, secondo l’accusa, per non compromettere l’onore del Vaticano, accettò di entrare in possesso di alcuni documenti appartenenti all’ex presidente del Banco Ambrosiano trovato morto nel giugno ’82 a Londra sotto il ponte dei Frati Neri. La notizia è stata riportata dalla Repubblica del giorno dopo. Hnilica, 79 anni, gesuita, venne ordinato vescovo clandestinamente nel ’51, successivamente si trasferì a Roma dove ha assistito gli esuli slovacchi fuggiti al regime comunista.


Putin
«Sì, sono battezzato e porto la croce battesimale al collo»

Domanda: È battezzato? Risposta: «Sì. Nel nostro appartamento in coabitazione c’era una vecchietta, nonna Anya. Quando sono nato, mia madre insieme con lei mi ha battezzato di nascosto dal padre, che era membro del Pcus, segretario di cellula in fabbrica». Sua madre andava in chiesa? «Sì, certo. Quattro anni prima della sua morte sono andato in Israele e lei mi ha dato la mia croce di battesimo per consacrarla al Santo Sepolcro. L’ho presa e, per non perderla, me la sono messa al collo. Da allora non me la sono più tolta». Così il neopresidente russo Vladimir Putin in una intervista pubblicata da Kommersant e ripresa in Italia dalla Stampa il 12 marzo, prima delle elezioni del 26.


Allarme
Foreign Office: Il 40% dell’eroina viene dal Kosovo

Il 40% dell’eroina che entra in Europa viene dal Kosovo. La denuncia è stata formulata il 16 marzo dal ministro degli Esteri britannico Robin Cook. In un discorso alla Camera dei Comuni, Cook ha espresso la sua «preoccupazione per il livello del crimine organizzato in Kosovo e in tutta la regione» e ha aggiunto che la situazione continua ad essere «difficile e pericolosa».




Moreira Neves:

«A guardare il panorama religioso del terzo millennio nascente, emerge lo stesso dubbio di Gesù...»


Lucas Moreira Neves

Lucas Moreira Neves

Il 20 febbraio il cardinale Lucas Moreira Neves, prefetto della Congregazione per i vescovi, ha celebrato la messa di ordinazione episcopale di monsignor Lino Fumagalli, nuovo presule della diocesi di Sabina-Poggio Mirteto. Durante l’omelia ha detto: «Permettimi di ricordarti che questo è un atto di pura fede: se non lo fosse sarebbe una mera recitazione, bella e solenne, ma inconsistente come qualsiasi teatro. Se non fosse un gesto di fede sarebbe un atto vuoto e, al limite, assurdo». Il porporato brasiliano poi ha esclamato: «A guardare il panorama religioso del terzo millennio nascente, emerge lo stesso dubbio di Gesù: “Quando verrà il Figlio dell’Uomo troverà la fede sulla terra?”. Infatti, malgrado il convincimento di grandi studiosi della storia e della cultura contemporanea, secondo i quali entriamo in un periodo profondamente religioso, nonostante l’interesse per la figura di Gesù, in tanti ambiti soprattutto della gioventù, in questa nostra epoca i concetti di Dio, di religione, di fede sono pericolosamente ambigui e confusi». Il cardinale Neves nel corso della sua omelia ha ripetuto la domanda di Gesù («Quando verrà il Figlio dell’Uomo troverà la fede sulla terra?») per altre due volte.


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