Rubriche
tratto dal n.02 - 1999



La Cattedrale di Bogotá, Colombia

La Cattedrale di Bogotá, Colombia

Santa Sede
Nuovi nunzi in Canada, in Colombia e nei Paesi scandinavi

Il 5 febbraio l’arcivescovo Paolo Romeo, siciliano, 61 anni, è stato nominato nunzio in Canada al posto di Franco Brambilla (75 anni compiuti lo scorso novembre). Nel servizio diplomatico vaticano dal 1967, Romeo ha lavorato nelle Filippine, in Belgio, Venezuela, Ruanda e in Segreteria di Stato. Dapprima nunzio apostolico in Haiti (dall’83), dal ’90 era rappresentante pontificio in Colombia.
A sostituire Romeo a Bogotá è stato chiamato, l’11 febbraio, Beniamino Stella, trevigiano, 58 anni ad agosto, dal ’92 nunzio a Cuba. Nel servizio diplomatico dal ’70, Stella ha lavorato a Santo Domingo, in Zaire, Segreteria di Stato, Malta e di nuovo in Segreteria di Stato. Prima di essere nominato rappresentante pontificio a L’Avana è stato, dall’87, pronunzio nella Repubblica Centrafricana, pronunzio in Congo e delegato apostolico in Ciad.
Il 27 febbraio Piero Biggio, sardo, 62 anni a giugno, è stato nominato nunzio nei Paesi scandinavi (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia). Dal ’92 rappresentante pontificio in Cile, Biggio in precedenza era stato incaricato d’affari nella nunziatura di Taiwan e nunzio in Bangladesh.


Santa Sede
Nuovo ambasciatore di Ungheria

L’8 febbraio il nuovo ambasciatore d’Ungheria ha presentato le lettere credenziali al Papa. Si tratta di Pál Tar, 67 anni, laureato a Parigi e alto funzionario della Banque Nationale de Paris dal ’61 al ’91. Tra il ’90 e il ’91 è stato consigliere personale dell’allora primo ministro Jozsef Antall e dal ’91 al ’94 ambasciatore negli Stati Uniti.


Guerra e pace
Scalfaro: ricordi di un settennato

«Sto concludendo il mio settennato e nel girare il mondo ho portato la voce d’una Italia portatrice di pace e impegnata per la pace. Anche perché, se il finale d’ogni guerra, dopo morti e distruzioni, è sedersi a un tavolo e trattare la pace tanto vale trattare subito, senza sangue e dolore». Così il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro mercoledì 24 febbraio.


Avvenire
L’arcivescovo di Belgrado, il Kosovo e i padani in Italia

«Monsignore, indipendenza o ampia autonomia per il Kosovo? “Almeno per ora la prima soluzione non è possibile”. Perché no? “Perché la comunità internazionale non se lo può permettere. Con questo si aprirebbero altri focolai nei Balcani e in Europa”. Esempio? “La Macedonia, i due milioni di ungheresi in Romania, il Montenegro. Ma anche per esempio i corsi, i baschi e, perché no, i padani in Italia”». Botta e risposta tra Avvenire (23 febbraio), quotidiano dell’episcopato italiano, e Franc Perko, arcivescovo cattolico di Belgrado (di nazionalità slovena).


Cardinali
Ratzinger iscritto da anni all’associazione dei donatori di organi

«Sono iscritto da anni all’associazione [di donatori di organi] e porto sempre con me questo documento dove, oltre ai miei dati personali, è scritto che io sono disponibile, di fronte ad una evenienza, a offrire i miei organi per aiutare chiunque avesse bisogno: è semplicemente un atto d’amore». Rivelazione del cardinale Joseph Ratzinger al quotidiano la Repubblica del 4 febbraio.


Papa in Romania
Tutti lo vogliono, ma ciascuno a modo suo

Giovanni Paolo II andrà in Romania, forse nella prima decade di maggio. Sarà la prima visita del Pontefice in un Paese a maggioranza ortodossa. Sarà possibile perché, dopo l’invito dei vescovi cattolici e quello, ripetuto, delle autorità civili, è arrivato anche quello del Patriarca della Chiesa ortodossa romena, Teoctist. Il Papa infatti non visita un Paese in cui i cattolici sono una minoranza se prima non c’è, oltre all’invito dei suoi e del governo, almeno il benvenuto da parte della confessione maggioritaria (ed è proprio per la mancanza di questo benvenuto che il viaggio in Russia non si è potuto ancora fare).
L’ufficializzazione del viaggio in Romania c’è stata il 13 febbraio quando il direttore della sala stampa della Santa Sede, Joaquín Navarro-Valls, ha annunciato: «È giunto al santo padre Giovanni Paolo II l’invito ufficiale di sua beatitudine Teoctist, patriarca della Chiesa ortodossa romena, a visitare la Romania. Il Santo Padre ha accettato l’invito. La data e il programma del viaggio al momento non sono ancora definiti». E proprio per definire la data e il programma di questo viaggio la diplomazia vaticana sta lavorando. Non senza problemi. Le difficoltà non riguardano la data, che in pratica è già stata fissata ufficiosamente tra il 7 e il 9 maggio prossimo. Questioni sono sorte invece riguardo al programma. Da una parte la Chiesa ortodossa vorrebbe dare al viaggio un’impronta prevalentemente ecumenica, e, in pratica, ha fatto sapere di gradire che il viaggio si svolga solo a Bucarest, dove la presenza dei cattolici è irrisoria. Al contrario i cattolici romeni vogliono che il Papa si rechi anche nelle zone dove la presenza cattolica è più significativa e cioè in Transilvania (a Blaj, o a Cluj, oppure a Timisoara) e/o in Moldavia (a Iasi). Da parte sua il governo, che ha voluto fortissimamente questa visita per aumentare il proprio prestigio internazionale e per aspirare con più chances ad entrare nell’Unione europea e nella Nato, deve barcamenarsi tra queste due esigenze. L’ambasciatore romeno presso la Santa Sede, il giovane Teodor Baconsky, ha fatto comunque sapere, con una intervista alla Croix del 24 febbraio, di pensare che la visita si limiterà a Bucarest. Difficile prevedere come andrà a finire, anche perché i cattolici sono piuttosto decisi nelle loro rivendicazioni (un vescovo ha addirittura dichiarato pubblicamente che è preferibile che il Papa non venga per niente piuttosto che faccia tappa solo nella capitale). A questa diatriba cattolico-ortodossa se ne aggiunge poi un’altra tutta interna alla Chiesa cattolica. La maggioranza dei fedeli cattolici di Romania di rito latino sono di etnia ungherese e hanno come propria capitale cultural-religiosa la città di Alba Julia (Gyulafehervar, in magiaro). Orbene, anche questo gruppo voleva che il Papa si recasse nella loro città più rappresentativa. Ma su questo però il Vaticano stesso ha detto di no: nessuna tappa ad Alba Julia (anche per non affaticare troppo il Pontefice), in compenso durante il viaggio verrà garantita la presenza della lingua ungherese nelle celebrazioni liturgiche. Anche in questo caso bisogna vedere come andrà a finire, perché pressioni a questo riguardo sono giunte anche dalla Chiesa (e dal governo) d’Ungheria. Tutti insomma vogliono il Papa in Romania, ma ognuno lo vuole secondo le proprie priorità che però non coincidono.
La riuscita del viaggio comunque ha una valenza strategica. Se riuscirà, si aprirà la possibilità di visite papali anche in altri Paesi ortodossi. Se invece non riuscirà, i contraccolpi negativi ci saranno anche a livello ecumenico. C’è da tener presente comunque che la visita papale è stata “benedetta” dal patriarca di Costantinopoli, mentre freddezza nei suoi confronti è stata espressa da rappresentanti del patriarcato di Mosca.


Provocazioni
Severino: la vittoria apparente della Chiesa maschera la sua sconfitta reale?

«Il cattolicesimo si crede dunque ed è creduto vincente proprio nel momento storico in cui la sua vita reale è finita – sebbene continui rigogliosa la sua vita apparente. Nell’apparenza, la Chiesa raccoglie l’eredità del comunismo, dà speranza alle masse dei diseredati, si leva contro il profitto capitalistico fine a se stesso. Prigionieri dell’apparenza, non ci si avvede che anche il comunismo era morto bene prima del crollo del muro di Berlino e che anche la sua era una vita apparente. Giacché anche il comunismo marxista si è presentato come verità definitiva, come affermazione delle leggi immutabili che regolano il processo storico del superamento del capitalismo. Non si deve dire, allora, che il comunismo è morto dello stesso male che mina il cristianesimo e tutte le forze della tradizione occidentale? e che la vittoria apparente della Chiesa maschera la sua sconfitta reale?». Finale provocatorio dell’articolo del filosofo Emanuele Severino, intitolato La fine annunciata del cristianesimo, apparso sul Corriere della Sera del 21 febbraio.


Civiltà Cattolica
C’è modernismo e modernismo

La Civiltà Cattolica torna sul tema del modernismo. Lo fa nel fascicolo del 20 febbraio con un articolo intitolato La questione biblica tra modernismo e antimodernismo, in cui si afferma l’esistenza di vari tipi di modernismo e di antimodernismo. Interessante il finale: «Nonostante tutto, e a dispetto delle troppo generiche e affrettate contrapposizioni storiografiche, tra il cosiddetto “modernismo moderato” alla Fracassini e “l’antimodernismo moderato” di un p. Prat o di un p. Hummelauer, ci furono, anche se limitati a determinati temi e soltanto a precisi limiti di tempo, importanti e proficui punti di contatto».




Esorcismi

Pubblicato il nuovo testo (ma si può usare anche l’antico)


Predicazione dell’Anticristo, particolare, Luca Signorelli, Cappella San Brizio, Orvieto

Predicazione dell’Anticristo, particolare, Luca Signorelli, Cappella San Brizio, Orvieto

Ampio risalto ha avuto sui mass media la presentazione del nuovo testo degli esorcismi. Si trattava dell’ultimo rito non ancora aggiornato alla luce del Concilio Vaticano II. Il testo precedente era quello, sostanzialmente immutato, in vigore dal 1614.
Il nuovo rito, nella versione latina e col titolo De exorcismis et supplicationibus quibusdam, è stato presentato dal cardinale Jorge Arturo Medina Estévez, prefetto della Congregazione per il culto divino, durante una conferenza stampa tenuta il 26 gennaio. In quella occasione, comunque, il porporato cileno ha presentato anche il testo di una Notificazione, datata 27 gennaio e firmata dallo stesso Medina Estévez, in cui si afferma che la Congregazione «in forza di una particolare facoltà concessale dal Sommo Pontefice» concederà «volentieri», ai vescovi che ne facessero richiesta, la facoltà «che il sacerdote, al quale è affidato l’incarico di esorcista, possa usare anche il rito che fino ad ora si desumeva dal Titolo XII del Rituale Romano (ed. 1952)».




Roberto Benigni:

«Leggo il De Civitate Dei e mi piace»


Roberto Benigni

Roberto Benigni

«Poi si arriva al ’91. Nell’autunno, tra ottobre e novembre, mi dissero che [Roberto Benigni] era a Vergaio. Venne da me. Si parlò a quattr’occhi e mi disse che si sposava. Io non gli chiesi nemmeno se faceva il matrimonio religioso oppure no. La Nicoletta [Braschi] viene da una famiglia molto religiosa, ha una zia suora e uno zio missionario. Fu lui a dirmi che faceva il matrimonio religioso, ma che non voleva paparazzi e giornalisti. Lui mi chiese di fare una cosa segreta e io gli dissi: “Si fa sì”. Gli chiesi anche se capiva cosa voleva dire sposarsi in chiesa e lui mi rispose: “Sì, sì. Ci s’è pensato”. Era irriconoscibile. Mi fece una confidenza. “Ma lo sa che sto leggendo il De Civitate Dei?”. “Il De Civitate Dei di sant’Agostino? Tira via le Confessioni” gli dissi “ma il De Civitate Dei è indigesto anche per gli iniziati”. “No, no” mi rispose Benigni “lo leggo e mi piace”».
Gustoso episodio raccontato da don Alfio Bonetti, 81 anni, da 53 parroco di Vergaio, il paese dove abita la famiglia Benigni, e professore di religione del giovane Roberto all’Istituto commerciale Datini. I ricordi dell’anziano sacerdote sono stati pubblicati dal settimanale diocesano Toscana oggi del 28 febbraio.




Radio Vaticana

Ratzinger ricorda Cullmann, il teologo della storia della salvezza


Giovanni Paolo II con Oscar Cullmann

Giovanni Paolo II con Oscar Cullmann

Il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha commemorato la figura di Oscar Cullmann, illustre teologo protestante scomparso a 97 anni il 16 gennaio scorso. Lo ha fatto alla Radio Vaticana in occasione del trigesimo della scomparsa, il 16 febbraio. Di seguito pubblichiamo la trascrizione dell’intervento.
Il contributo più originale di Cullmann: «Direi che il concetto fondamentale della sua teologia, anche il concetto più originale, è l’idea di storia della salvezza. Secondo Cullmann, la Bibbia non ci offre un sistema metafisico, ma ci parla di un Dio che agisce, di un Dio che entra nella storia, anzi crea una storia comune con noi, e questa idea della storia della salvezza rivelerebbe quasi, per così dire, la chiave di lettura per comprendere bene la Sacra Scrittura. Con questa chiave è stato un uomo molto fedele alla realtà della rivelazione, a “parlarci” anche della storia della salvezza, nella quale tuttavia non agiscono solo persone umane ma realmente Dio sta in contatto con noi».
Cullmann e il dialogo ecumenico: «Da una parte, Cullmann era realmente un uomo credente, un vero cristiano, profondamente convinto della verità della rivelazione, della realtà dell’agire divino con noi, e quindi un uomo che condivideva con noi i fondamenti della fede, anche l’essenza dei simboli della Chiesa antica. Così, in questi simboli che sono il fondamento della vita della Chiesa, eravamo uniti. C’erano degli elementi dove non poteva andare d’accordo con noi. Un primo elemento: lui era molto antimetafisico, perché proprio il concetto di storia della salvezza gli faceva ritenere che pensare nel senso della metafisica sarebbe già una decadenza, un separarsi dalla visione centrale della Bibbia, quasi una ellenizzazione non giusta della Sacra Scrittura. L’altro punto era l’ecclesiologia: ha scritto un bel libro sull’apostolo Pietro, ma era convinto che non c’era una successione di Pietro. Lui da Giovanni 17 affermava che è la Parola che è la successione, non un ministero. Però, pur con queste distinzioni dalla fede cattolica, era un uomo che realmente, con una grande passione, cercava l’unità e voleva essere servitore dell’unità e penso che ha contribuito molto per un avvicinamento tra la Chiesa cattolica e le comunità di origine della Riforma».
Un ricordo personale: «Io sono stato legato a Cullmann fin dai tempi del Concilio e soprattutto del primo dopo-Concilio con una profonda amicizia spirituale. Lui aveva scoperto la mia opposizione a Bultmann e su questo punto ci siamo trovati, perché Cullmann era convinto che la demitologizzazione della Sacra Scrittura sarebbe stata un attacco contro il cuore della Rivelazione, e così abbiamo realmente combattuto insieme perché anche io ero convinto che il concetto della storia della salvezza è centrale e punto chiave contro questa demitologizzazione. Così abbiamo avuto uno scambio di lettere, diversi incontri fino a poco tempo fa: due anni fa era ancora qui con me in Congregazione. Lui era un uomo che vedeva che l’essenziale non è la divisione, ma lo stare insieme contro le tentazioni della secolarizzazione e, d’altra parte, lui ha apprezzato il fatto che io mi sono impegnato con profonda convinzione per il suo modello ecumenico, perché mi sembrava realmente quello più realistico e anche più corrispondente ai dati della fede».


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