Recensioni
Celestino e l’assassino

Antonio Grano, La leggenda del chiodo assassino, Tommaso Marotta Editore, Napoli 1998
E veniamo a Bonifacio VIII. Fu un grande papa. Certo le vicende del momento storico, le lotte gentilizie tra le grandi famiglie romane, gli anni di vacanza papale sul trono di Pietro, l’escamotage del papa angelico (per sanare una frattura in cui la Francia si insinuava con determinatezza), per cui rinunciò al papato ben sapendo, lui il santo, che a succedergli sarebbe stato proprio il Dominus Curiae, il cardinale Caetani, sono eventi tempestosi e parzialmente confusi. Ma mi si deve spiegare, razionalmente oltre che storicamente, per qual motivo un cardinale di santa madre Chiesa, per pessimo che sia, deve far uccidere con una chiodata un novantenne che, secondo Grano, era pure dotato di poca salute (questo non lo credo perché in un’epoca che vedeva i sessant’anni come estrema vecchiezza e limite, per pochi, della vita, arrivare a novant’anni era cosa per pochissimi fisici estremamente robusti di natura). Comunque, a un uomo vecchissimo e ormai davvero ammalato, perché piantare un chiodo in testa? Neppure a Dario Argento verrebbe in mente una scena così truculenta e folle. E i rapporti tra i due, Bonifacio e Celestino, non furono mai particolarmente cruenti. Certo Bonifacio sapeva di non potersi permettere, mentre la Chiesa e lui brulicavano di nemici, che il santo del Morrone fosse assunto come una bandiera dai suoi antagonisti dentro e fuori i confini d’Italia. E questo lo capì infine lo stesso Morronese che volle, per prepararsi all’ultimo volo verso il cielo, la solita scomodissima celletta che cercò ovunque, anche nel palazzo pontificio a Napoli. In ultimo, per non tediare più il lettore, voglio ricordare che il comandante della rocca di Fumone, «aspera e crudel preson» di Celestino, era fratello di quel cardinale De Longis che fu tra le persone più care al santo. E chiunque muova i suoi passi fra quelle mura antiche, miracolosamente illese nei confronti del tempo e degli eventi, non può non rimaner colpito dalla serenità e dall’amore che ancora circondano Pietro, le sue memorie, il profumo indelebile della sua santa presenza, l’ineffabile e aspra qualità del suo rigore morale, coltivati come preziosissimi fiori in primo luogo proprio dai discendenti diretti del cardinale e del castellano, che per uno strano gioco della storia sono ancora lì, a guardia del maniero e dei suoi ricordi.
Maria Burani Procaccini
La guerra civile in Spagna

Vicente Cárcel Ortí, Buio sull’altare. 1931-1939: la persecuzione della Chiesa in Spagna, Città Nuova Editrice, Roma 1999
Si era determinato uno stato di persecuzione che si spinse ben presto fino all’uccisione di migliaia di sacerdoti e di religiose.
La Chiesa cattolica non poteva che censurare con la massima fermezza i delitti così perpetrati e i cattolici italiani potevano leggere sull’Osservatore Romano notizie trionfalistiche sulle avanzate delle truppe franchiste che liberavano man mano la cattolicissima popolazione spagnola dalla violenza del comunismo ateo.
Molto si è scritto in argomento, tuttavia il nuovo libro appena uscito di Vicente Cárcel Ortí merita ogni attenzione perché è un’opera storica scritta dopo accurate ricerche e che studia il fenomeno non solo in quanto legato alla guerra civile ma alla lotta condotta dalle forze repubblicane comuniste contro la religione “oppio dei popoli”.
Il nocciolo del volume è costituito da un documento molto importante: la lettera collettiva dell’episcopato spagnolo ai vescovi del mondo intero pubblicata nel luglio del 1937.
La lettera, fra l’altro, adottò una linea destinata a suscitare feroci discussioni ravvisando nell’insurrezione civico-militare franchista una radice patriottica e religiosa volta alla salvaguardia dell’identità e della storia culturale della nazione. Come ovvia conseguenza si vedeva nella vittoria dei franchisti l’unica speranza di sopravvivenza di questi diritti e valori.
L’autore obiettivamente non manca di registrare le critiche alla lettera formulate da parte cattolica. Infatti da molti fu sostenuto che essa compromise in modo definitivo la Chiesa con il regime di Franco. Tuttavia la lettera fu una denuncia molto coraggiosa e risvegliò la coscienza mondiale di fronte agli orrori della guerra in Spagna.
Lo stesso Pio XI nel settembre del 1936 pronunciò un discorso che ebbe grande ripercussione nella stampa mondiale perché era – afferma l’autore – il primo pronunciamento della Santa Sede sulla situazione spagnola. Pio XI deplorò la guerra civile e il veleno della propaganda bolscevica.
Fra le osservazioni di Ortí spiccano quelle relative ai parallelismi franchisti-Chiesa cattolica e governo spagnolo-comunisti atei. Egli infatti non ritiene giusto ridurre la guerra civile spagnola a uno scontro tra ateismo e religione. Non sono stati soltanto eventi bellici le migliaia di esecuzioni di religiosi che venivano fucilati non perché franchisti ma perché sacerdoti. E nei periodi in cui più tragica e più diffusa fu la persecuzione a tutto il territorio della Repubblica e non soltanto alle zone di combattimento fu evidente che c’erano in proposito ordini precisi delle autorità civili del governo repubblicano.
In conseguenza di questo modo di vedere le cose, a parte le convinzioni politiche, fu soprattutto la convinzione religiosa dei singoli a far propendere per i franchisti o per i governativi. I cattolici, senza stare tanto a pensarci, auspicavano che la guerra fosse vinta da Franco mentre chi aveva idee politiche di sinistra sperava che i “fascisti” fossero sconfitti. Su questo punto l’autore tiene a precisare che Franco non era un fascista ma si servì del fascismo per liquidare spietatamente i suoi avversari. E confessa onestamente di avere egli stesso ai tempi della guerra parteggiato per Franco.
In conclusione il volume è assai interessante, e conciso, ha l’essenzialità propria delle opere storiche, si appoggia su una ricchezza di citazioni e di dati. Con la precisione che lo distingue ha anche cercato di verificare e rettificare molti dati che comunemente vengono riportati su quella catastrofica guerra e sono numeri tanto più impressionanti in quanto si tratta di un popolo di antica civiltà cattolica che ha fatto strage dei suoi religiosi e raso al suolo splendide cattedrali, chiese e conventi. Secondo un rapporto del 1960, furono fucilati 4184 sacerdoti e seminaristi, 13 vescovi, 2365 religiosi e 283 religiose.
Il libro contiene anche un elenco dei martiri che sono stati beatificati da Giovanni Paolo II.
Liliana Piccinini
Tommaso e l’eredità di Agostino

Battista Mondin, Storia della metafisica, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1998
Giovanni Cubeddu
Luci della parrocchia

Sonia Mantelli, Dalla sala parrocchiale alla sala della comunità, Acec, Roma 1999
Era stato Pio XI a parlare della validità del cinema come strumento comunicativo nell’enciclica del 29 giugno 1936, Vigilanti cura, documento in cui, però, si sottolineava anche la potenziale azione dannosa della settima arte, utilizzata spesso senza un confronto con la morale. Naturale che l’Acec, nata sulla spinta dell’enciclica papale pochi anni dopo, soffrisse fin dall’inizio di difficoltà e contraddizioni. Un’altra enciclica darà un impulso decisivo all’attività dell’Acec: la Miranda prorsus di Pio XII, che fissa il punto di partenza per la formulazione di una teologia della comunicazione audiovisiva. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta emerge anche la necessità di mettere più in luce la funzione pastorale dell’Associazione. Una funzione che sarà ratificata nel documento conciliare Inter mirifica. In questo senso si colloca la nascita dell’Associazione nazionale circoli cattolici italiani (Ancci), un organismo di promozione culturale sorto in seno all’Acec. Oggi la nascita di nuove forme di comunicazione multimediali, tra tutte Internet, non ha trovato impreparati i vertici dell’Associazione, che negli statuti del 1988 e del 1998 allargano il proprio raggio d’azione a tutto ciò che rientra nelle comunicazioni sociali. In chiusura il volume ci aggiorna su tutte le attività collaterali, ma fondamentali, dell’Acec: il bimestrale Il nostro cinema (diretto da don Dario Viganò), giornate di studio e corsi di formazione.
Antonio Termenini