Rubriche
tratto dal n.10 - 2003


I legionari venuti da Oriente


Pino Chiarucci, ILe origini del cristianesimo in Albano e le catacombe di San Senatore/I, Miterthev editrice, Albano Laziale (Rm)1990, 93 pp., s.i.p.

Pino Chiarucci, ILe origini del cristianesimo in Albano e le catacombe di San Senatore/I, Miterthev editrice, Albano Laziale (Rm)1990, 93 pp., s.i.p.

Quando Settimio Severo divenne imperatore nel 193 d.C., sciolse il corpo dei pretoriani, che lo avevano osteggiato, per sostituirlo con i soldati della legione II Partica a lui fedele. Era composta quasi interamente da uomini di provenienza orientale: traci, illirici, greci. L’imperatore li acquartierò nell’Albanum, il territorio dell’antica Albalonga, dove allora sorgevano una residenza imperiale e alcune villae rusticae. Il nuovo castrum, posto ai margini dell’Appia, non lontano dall’Urbe, permetteva di controllare la fondamentale via di comunicazione tra Roma e l’Oriente. Fu questo accampamento a costituire il nucleo originario della civitas albana medievale e, in seguito, della moderna cittadina di Albano. La legione II Partica vi rimase fino alla metà del III secolo, quando Gallieno la portò con sé a combattere nella Gallia Belgica.
Quei legionari non tornarono più nell’Albanum, ma in sessant’anni di permanenza vi gettarono il seme del Vangelo. Molti di essi, infatti, erano cristiani. Le testimonianze archeologiche, sarcofaghi ed epigrafi databili tra la fine del II secolo e la prima metà del III, attestano la diffusione del cristianesimo tra questi soldati di lingua e cultura greca, ma anche tra la popolazione servile che lavorava nelle villae della campagna circostante. Furono questi due nuclei a costituire la primitiva Chiesa di Albano. Una Chiesa che conservò fin dagli inizi le memorie di numerosi santi e martiri, tanto che al pellegrino medievale gli antichi itinera indicavano le catacombe di San Senatore sulla via Appia, nei pressi del castrum, come il più importante complesso cimiteriale suburbicario.
È merito di Pino Chiarucci, direttore dei musei civici di Albano, Anzio e Lanuvio e direttore della rivista scientifica Documenta Albana, aver raccolto e presentato in un volume un complesso di dati archeologici e documentari, alcuni dei quali inediti, che consentono di ricostruire le origini del cristianesimo nel territorio di Albano e il suo successivo sviluppo nel passaggio dal tardo-antico al Medioevo. Dai sarcofaghi cristiani rinvenuti in necropoli pagane, alle catacombe di San Senatore, le testimonianze sono accompagnate dall’ottima documentazione fotografica firmata da Pio Ciuffarella, che permette di ammirare, tra l’altro, gli affreschi del IV-V secolo conservati sulle pareti delle catacombe, il cui accesso, chiuso per secoli e dimenticato, fu riscoperto agli inizi del Settecento. Studiate dal De Rossi e dai suoi allievi, le catacombe sono tornate, dopo un nuovo oblìo, al centro dell’interesse di studiosi e restauratori grazie all’interessamento dell’attuale vescovo di Albano, monsignor Dante Bernini, che dal 1989 ha promosso nuovi studi, tra cui la pubblicazione del volume di Chiarucci. Nel libro è tratteggiata anche la storia della Chiesa di Albano dalla pace di Costantino, che volle edificarvi una basilica di cui rimangono solo alcuni capitelli, allo sviluppo altomedievale nell’agro albano di domus cultae, comunità cristiane dedite all’agricoltura, fino alla forte influenza che, dopo l’anno mille, esercitò sul territorio la presenza di monaci greco-bizantini, il cui centro propulsore fu l’abbazia di San Nilo.
Questa importante diocesi suburbicaria, il cui vescovo, insieme a quello di Porto e di Ostia, godeva nel Medioevo del privilegio di consacrare i pontefici romani, si rivela così particolarmente ricca di quelle memorie che hanno segnato nei secoli non solo questo lembo di campagna alle porte di Roma, ma tutta la cristianità occidentale del primo millennio.
Giovanni Ricciardi




Meglio gli arabi dei bizantini


Michele Amari, IStoria dei musulmani di Sicilia/I, Le Monnier, Firenze 2002, 1435 pp., euro 76,50

Michele Amari, IStoria dei musulmani di Sicilia/I, Le Monnier, Firenze 2002, 1435 pp., euro 76,50

Le Monnier ripropone, nell’originaria stesura, il saggio di Michele Amari, uno dei massimi storici europei dell’Ottocento: Storia dei musulmani di Sicilia. Un monumento della storiografia europea dell’Ottocento in tre volumi (quattro tomi), pubblicato, sempre presso Le Monnier di Firenze, tra il 1854 e il 1872, nell’arco cioè di circa un ventennio; un grande lavoro sulla Sicilia araba condotto con scrupolo e metodo scientifico rigorosi dalla genialità di un grande storico europeo qual è Amari. Il piano dell’opera, il più ampio progetto scientifico ed editoriale attorno al quale Amari ha lavorato, è documentato dall’analisi della corrispondenza intercorsa tra Amari, in esilio a Parigi per motivi politici (dal 1845 al 1860), e senza un soldo, e Le Monnier a Firenze; l’analisi, che tocca anche agli accordi economici e finanziari, è condotta in “alcuni appunti” di Mauro Moretti che fanno da introduzione all’opera. Sono pagine interessanti anche per capire i rapporti di Amari oltre che con Le Monnier, con gli ambienti intellettuali toscani, in particolare con Vieusseux, “padre” del neonato Archivio storico italiano.
Ma veniamo all’opera. Amari affronta il tema della fondazione dell’islam e dell’opera di Maometto; pur tenendo conto della “riduzione” siciliana del tema, varrebbe la pena aggiungere la lettura di questa parte (cap. III del primo libro), per alcuni versi originale e nuova, ai numerosi saggi che in questi anni sono stati pubblicati sull’islam. Considerazioni sociologiche, religiose e sentimento nazionale si sovrappongono e si intersecano per spiegare come con Maometto gli arabi “ridiventano” nazione. Non si tratta dello sbocco di una storica vendetta di vinti, e neppure di un evento provvidenziale: Amari lo rappresenta come l’epilogo del «risorgimento della schiatta arabica…». La storia poi si farà carico degli sviluppi positivi e negativi dell’islamismo: «Ridivenuti nazione, spinti da delirio religioso, da ambizioni e da cupidigie, allettati… dalla fertilità delle terre, da tutti i lucri che offrivan le nuove province, i popoli arabi emigravano successivamente verso di quelle... Questa schiatta forte, piena di alacrità e di speranze, operosa, industre, paziente, audace, trovandosi in condizioni geografiche favorevolissime e attirando altre schiatte alla sua lingua e religione, dava principio a un altro periodo nella storia dell’umanità».
Per quanto riguarda il caso siciliano, è certo – afferma Amari – che la conquista musulmana recò in Sicilia nel IX secolo e fino all’XI un incivilimento ed una prosperità ignoti allora alle altre regioni italiane, incivilimento e prosperità che nel XII e per gran parte del XIII rifluirono sulla penisola e contribuirono allo splendore della patria comune. Nell’unità del racconto, spesso complessa, Amari racconta la impossibilità a costituirsi, la Sicilia, società musulmana egemone (anche se magari il suo popolo ne nutriva legittima aspirazione), ma il suo essere dentro un processo di «incivilimento della comune patria nostra, il quale entro pochi secoli dileguava in Europa le tenebre del Medioevo». Il breve dominio musulmano non arrivò a compiere la assimilazione degli abitanti della Sicilia.
Il giudizio di Amari sulla Sicilia imperiale e su «la povera storia bizantina» è severo (è una costante di tutta l’opera l’antipatia radicale di Amari per Bisanzio), come pure non sono teneri i suoi giudizi storici, ad esempio sulla politica “antinazionale” del papato dell’epoca, contro i Gesuiti: molto critica fu la reazione, da parte della Civiltà Cattolica, nel 1855, dopo la comparsa del primo volume dell’opera amariana, al punto che l’editore scrive preoccupato all’autore evidenziando i timori per ulteriori restrizioni sulla stampa.
Il dominio dei musulmani in Sicilia fu breve e la assimilazione mai compiuta dunque (siamo al IV capitolo della Storia ): «Giunto al termine dell’avventura araba in Sicilia, lo storico ne tenta un bilancio assai cauto e limitativo: vantaggi della presenza araba in Sicilia gli appaiono l’innesto di nuovo sangue etnico sul fiacco ramo bizantino…, e poi lo spezzettamento del latifondo, sostituito con la piccola proprietà musulmana. I maggiori acquisti nel campo culturale e artistico seguiranno dopo, con la sincretistica età normanna; i due secoli e mezzo del diretto dominio restan tutto sommato fuori dalla grande storia, come sentirono oscuramente gli Arabi stessi» (Gabrieli).
Due annotazioni conclusive. Il sommario generale è un’utile indicazione per rintracciare gli argomenti e i personaggi trattati nella Storia. Interessante, poi, la rapida pennellata sull’autore condotta dallo storico Franco Cardini che, a conclusione del III volume, ripercorre efficacemente le tappe più significative che hanno attraversato la vita politica e intellettuale di Michele Amari.
Walter Montini




La riabilitazione dell’inutile strage


Pierluigi Consorti, ILa rivincita della guerra?/I, Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa 2003, 148 pp., euro 10,00

Pierluigi Consorti, ILa rivincita della guerra?/I, Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa 2003, 148 pp., euro 10,00

«La guerra contro il terrorismo e poi quella contro l’Iraq hanno riportato a concepire lo strumento armato come un possibile mezzo per conquistare libertà e democrazia, sebbene a dispetto della supremazia della vita umana. Si assiste cioè ad una sorta di “rivincita della guerra”. Se fino a pochi anni fa essa era tutto sommato avvolta in una concezione negativa, che la rendeva uno strumento primitivo utilizzato da popoli e Stati disperati, incapaci di risolvere diversamente i conflitti che li arrovellano, ora la guerra sembra tornata ad essere considerata uno strumento utile, possibile, lecito». Questa la preoccupazione che sta alla base del piccolo volume La rivincita della guerra? di Pierluigi Consorti, docente di Diritto ecclesiastico presso l’Università di Pisa e membro del Centro interdipartimentale Scienze per la Pace.
Il volume ripercorre le tappe, a livello giuridico, in Occidente, e in particolare nei recenti interventi bellici di cui sono stati protagonisti gli Stati Uniti d’America, del passaggio dal concetto di guerra giusta, di guerra legittima, all’assunzione del concetto di guerra preventiva. Interessante l’analisi di come, in seno all’ambito cattolico (e qui l’autore ricorre più che altro al magistero pontificio), si sia, all’inverso, progressivamente problematicizzata, e quindi abbandonata, l’idea di pace come semplice assenza di guerra, per giungere a identificare la pace come un ideale positivo, da costruire giorno per giorno. Passaggio basilare di questa evoluzione, secondo l’autore, è stata l’introduzione in ambito cattolico del concetto di «ingerenza umanitaria», esplicitato nei prodromi della guerra contro la Serbia per la liberazione del Kosovo. Per tentare di definire questa nuova dottrina l’autore ricorre alle parole del Pontefice che, il 19 novembre del 2000, nel corso di un’omelia in occasione del giubileo dei militari, spiegava come questa fosse da considerarsi quale «estremo tentativo a cui ricorrere per arrestare la mano dell’ingiusto aggressore dopo il fallimento degli sforzi della politica e degli strumenti di difesa non violenti». Lungi dall’essere un’ulteriore legittimazione della guerra, come ha preteso vedere chi ha voluto mettere questa dottrina a fondamento dell’attuale concetto di guerra preventiva, questa posizione avrebbe invece introdotto un’idea nuova di pace, oggettivata, tra l’altro, dalla posizione assunta dal Papa nel corso del recente intervento in Iraq. La pace non più come mera assenza di guerra, ma come un’idea positiva che, ripudiando in toto la risoluzione delle controversie internazionali con la guerra, deve essere costruita nella società attraverso l’educazione, tra le religioni attraverso il riconoscimento reciproco, e tra gli Stati attraverso una nuova centralità delle organizzazioni internazionali e la realizzazione di nuovi strumenti politici e giuridici. Un ideale di pace che, secondo l’autore, ha come fine sciogliere senza traumi il «nodo gordiano» dei conflitti (per usare un’immagine ricorrente nel volume), che un’illusoria e semplicistica idea bellicista ritiene possa essere districato solo attraverso un taglio netto dello stesso.
Davide Malacaria




Il diario di suor Faustina


Ludmila Grygiel, IMisericordia divina per il mondo intero. La mistica di santa Faustina Kowalska/I, Cantagalli, Siena 2003,  413 pp., euro 20,00

Ludmila Grygiel, IMisericordia divina per il mondo intero. La mistica di santa Faustina Kowalska/I, Cantagalli, Siena 2003, 413 pp., euro 20,00

Il nome di suor Faustina Kowalska è legato, nel popolo cristiano, a un’immagine di Gesù misericordioso, ormai famosa e diffusissima, che a Roma campeggia nella chiesa di Santo Spirito in Sassia e il cui originale è custodito a Vilna, in Polonia. Essa riproduce la figura di Gesù così come la santa polacca, che per molti anni ebbe l’esperienza mistica della visione diretta di Cristo e di un continuo colloquio con lui, lo descrisse al pittore Eugenio Kazimirowski. Seguendo le indicazioni della suora, l’artista cercò di riprodurre il più fedelmente possibile l’immagine. Quando suor Faustina vide per la prima volta il quadro, «si mise a piangere a dirotto, perché Gesù sul ritratto non era così bello come lo aveva visto lei». Al suo sconforto rispose Cristo stesso dettandole interiormente una frase che ella annotò nel suo Diario: «Non nella bellezza dei colori e del pennello sta la grandezza di questa immagine, ma nella Mia grazia». Oggi sono migliaia i fedeli che venerano il “Gesù misericordioso” e recitano la “Coroncina della Divina Misericordia”, una preghiera ispirata da Gesù alla mistica polacca, che si recita sui grani del rosario ripetendo la giaculatoria: «Per la sua dolorosa Passione abbi pietà di noi e del mondo intero».
Meno conosciuti sono gli scritti di suor Faustina, canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2000, che nacque nel 1905 a Glogowiec, nella Polonia centrale e morì di tubercolosi a soli 33 anni, alla vigilia del Secondo conflitto mondiale. Ella, infatti, per obbedienza al suo confessore, annotò i suoi colloqui con Gesù misericordioso in sei quaderni che furono poi raccolti e pubblicati, alla sua morte, sotto il nome di Diario. La prosa di queste pagine sorprende per lo stile limpido e poetico, soprattutto se si tiene conto che Faustina aveva frequentato soltanto tre anni di scuola elementare e aveva grandi difficoltà nella scrittura. Se il Diario di suor Faustina, per essere stato comandato in nome dell’obbedienza, ha avuto una genesi simile alla Storia di un’anima di Teresa di Lisieux, quanto al contenuto costituisce un’opera di letteratura mistica paragonabile agli scritti di santa Gemma Galgani o alle lettere di santa Caterina. E proprio studiando l’opera della santa senese, di cui ha curato una traduzione in polacco, Ludmila Grygiel ha potuto accostare queste due figure così distanti nel tempo e così vicine nell’esperienza diretta dell’incontro con Cristo, e approfondire l’insegnamento di santa Faustina nel quadro della storia della spiritualità cristiana. Il volume della studiosa polacca costituisce così un invito alla lettura del Diario di suor Faustina, che viene presentato, meditato e commentato nei suoi tratti salienti, andando a costituire quasi una biografia della santa, se così si può chiamare il racconto di una vita povera di eventi esteriori, ma straordinariamente ricca di esperienze interiori. Ne risulta una lettura di notevole interesse, faticosa forse a causa della non impeccabile traduzione italiana, ma capace di distillare le pagine salienti dei colloqui tra Gesù e la santa in modo efficace e persuasivo.
Giovanni Ricciardi




La Chiesa e i segni dei tempi


Paolo Scarafoni, II segni dei tempi/I, Edizioni Paoline, Milano 2002, 152 pp., euro 10,33

Paolo Scarafoni, II segni dei tempi/I, Edizioni Paoline, Milano 2002, 152 pp., euro 10,33

Paolo Scarafoni, rettore dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, dove insegna anche teologia dogmatica e teologia spirituale, ha pubblicato nella collana “Diaconia alla verità” delle Paoline un libro interessante: I segni dei tempi.
Si è soliti usare l’espressione “segni dei tempi” ad indicare i risvolti di avvenimenti, di fatti (gli eventi della storia attraverso i quali Dio comunica con gli uomini); le azioni, i gesti, di fede e non, ai quali spesso non si riesce a dare una spiegazione, quasi con distratta sensibilità e attenzione o con rassegnato affidamento agli accadimenti. Ma la Chiesa, pienamente coinvolta nella storia degli uomini, dà ascolto e presta molta attenzione a questi “segni”. È il percorso che con rigorosa analisi Scarafoni, sacerdote della Congregazione dei Legionari di Cristo, segue nel presente lavoro. Sono stati considerati segni dei tempi, nel secolo scorso, ad esempio: l’unità dei cristiani, la pace nel mondo, il dialogo interreligioso, la dignità della donna, il rispetto della vita, la promozione della dignità e della libertà umana. Segni dei tempi sono contenuti nel Nuovo Testamento e nel complessivo magistero della Chiesa: i pontefici del secolo passato sono stati grandi promotori dei “segni dei tempi” per una rinnovata azione della Chiesa e dei cristiani nel mondo contemporaneo: l’autore ne ripercorre le tappe più significative, da Giovanni XXIII ai giorni nostri (si veda, ad esempio, la lettera apostolica di Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte). Certo, occorre ben individuarli, discernerli (cap. V), interpretarli, affinché diventino indicazione della missione propria dei cristiani. E il libro aiuta in questo. Durante la lettura del testo, non si può fare a meno di riferirsi anche agli scritti sull’argomento del vescovo monsignor Rino Fisichella (che peraltro dirige la Collana nella quale il volume di Scarafoni è inserito): l’analisi dei due si integra perfettamente, quasi a voler farsi carico in maniera complementare delle domande di senso che albergano nel cuore degli uomini, per illuminarle con una intelligente presentazione della fede, in totale fedeltà alla verità (fondamentale, al riguardo, l’ultimo libro di Fisichella, La via della verità).
Segni dell’amore ý il sottotitolo del libro. I segni più importanti nell’esistenza di ogni uomo sono prodotti dall’affermazione dell’amore o dalla sua negazione. All’amore nella tradizione cristiana e ai segni dei tempi, segni di amore, l’autore dedica i due capitoli finali, il VII e l’VIII (pp.94-140), per noi illuminanti per la comprensione dei “segni” del tempo presente.
Walter Montini




Fu vera truffa?


Gaetano Quagliarello, ILa legge elettorale del 1953/I, Il Mulino, Bologna 2003, 582 pp., euro 40,00

Gaetano Quagliarello, ILa legge elettorale del 1953/I, Il Mulino, Bologna 2003, 582 pp., euro 40,00

Sono molto interessanti le iniziative che la presidenza del Senato promuove quasi ad integrazione, mi vien da dire, della attività istituzionale del Senato, per sensibilizzare anche l’opinione pubblica su alcuni temi dell’attualità politica: convegni, conferenze e incontri con personalità di livello internazionale, dibattiti, mostre, pubblicazioni. Singolare l’iniziativa che rievoca il cinquantenario della cosiddetta “legge truffa”, la legge elettorale del 1953: Fu vera truffa? è il titolo della mostra documentaria, allestita a Palazzo Giustiniani per tutto il mese di giugno, che raccoglie e presenta al pubblico documenti storici, manifesti, materiale archivistico spesso inedito, giornali, volantini di propaganda politica. Accompagna la mostra, o viene da essa accompagnata, una pubblicazione su La legge elettorale del 1953, curata dal professor Gaetano Quagliarello (coedizione Il Mulino e Archivio storico del Senato) che compendia gli elementi essenziali di un grande dibattito che ha animato il Parlamento e il Paese in quegli anni.
Oggi qualche voce cerca di inserire nel dibattito politico anche il tema della riforma della legge elettorale in vigore, spesso evocando alcuni aspetti della legge elettorale del 1953: riflessioni sul “maggioritario imperfetto” o sul “bipolarismo incompiuto” si accompagnano ad analisi bipartisan sui risultati pratici del vigente sistema elettorale. La lettura delle pubblicazioni edite, che riportano materiale storico spesso trascurato, può servire all’approfondimento del tema e a documentare una fase moýto difficile della crescita della nostra democrazia. Fu vera truffa?, ci si domanda ancora oggi a distanza di cinquant’anni. Oggi ci sembra di assistere ad una sorta di riabilitazione di quel sistema elettorale che sembrava voler garantire il disegno “centrista” di De Gasperi fondato sull’equidistanza dalle “ali estreme” di destra e di sinistra, assicurando stabilità politica al governo. Altri tempi, si dirà. La lotta fu aspra e dura, come si evince dalla lettura dei documenti riproposti nel volume di Quagliarello; non mancarono scontri di piazza e nelle aule del Parlamento, soprattutto al Senato. La storia passata serve ad illuminare il presente, e a riabilitare alcuni personaggi.
Sono iniziative istituzionalizzate, quelle del presidente del Senato Pera, che seguono un preciso tracciato storico-culturale, coerente e attuale. Dopo quelle dedicate a Benedetto Croce e a Vittorio Emanuele Orlando, questa sulla “legge truffa” vuole essere anche la testimonianza di un periodo storico, di una polemica politica condotta senza esclusione di colpi, pur lontana cinquant’anni ma, mi par di poter dire, ancora di presente attualità, pur nella evoluzione delle tecniche della comunicazione e della propaganda politica. Attendiamo il prossimo appuntamento.
Walter Montini


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