Home > Supplementi > La Civiltà Cattolica e la Costituzione italiana

La Civiltà Cattolica e la Costituzione italiana

La Civiltà Cattolica e la Costituzione italiana

Estate 1946: Pio XII chiede ai gesuiti della Civiltà Cattolica uno schema ipotetico di Costituzione, relativo ai rapporti tra Chiesa e Stato, da far circolare tra gli eletti nella Costituente.

I padri elaborano tre programmi: uno «desiderabile», uno «medio» e uno «minimo». Solo l'ultimo sarà preso in considerazione dal Papa.
30Giorni lo ripubblica oggi integralmente

 

Presentazione di Giovanni Sale S.I.

A cura di Davide Malacaria

di 30Giorni

€ 1,00


In lettura

Presentazione

Tra le tante problematiche che l’Assemblea costituente fu chiamata a risolvere, il rapporto tra il nuovo Stato italiano e la Chiesa non era certo l’ultima, sia per la sua oggettiva importanza, sia per le accese passioni che l’argomento suscitava. Al momento di discutere l’articolo 5, il dibattito, che fino a quel momento si era snodato senza eccessivi contrasti, s’infiammò, facendo emergere quelle contrapposizioni ideologiche, vecchie e nuove, che fino ad allora erano rimaste sopite. Contro il compromesso sintetizzato da questo articolo si schierarono i socialisti, gli azionisti, i repubblicani, i demolaburisti e alcuni liberali (tra cui Benedetto Croce), mentre in sua difesa si schierarono i democristiani, gli onorevoli eletti nelle file dell’Uomo qualunque e molti liberali. Più articolata la posizione dei comunisti, i cui voti risultarono decisivi per l’approvazione dell’articolo. Inizialmente l’articolo 5 era composto da tre commi, ma, su proposta del liberale Roberto Lucifero, il terzo comma, riguardante la libertà degli altri gruppi religiosi, fu stralciato per essere inserito in altra parte della Costituzione.
Il primo comma, che tratta della collocazione della Chiesa nell’ordinamento giuridico italiano, recitava: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Le obiezioni a tale comma (in particolare l’intervento dell’onorevole Calamandrei) s’incentrarono sull’irrazionalità di introdurre nella Costituzione italiana un riferimento a un altro ente sovrano e di prevedere così un dialogo tra due enti, stante invece il carattere di “monologo istituzionale” che avrebbe dovuto caratterizzare la Carta. Tali obiezioni furono superate dalla lucida replica dell’onorevole Giuseppe Dossetti, per il quale l’accettazione della tesi del “monologo istituzionale” come dato caratterizzante la Costituzione non escludeva che la stessa potesse, come atto d’autorità e non attraverso un “dialogo”, disciplinare i suoi rapporti con altri enti.
Il secondo comma, invece, entrava nello specifico, ovvero nelle modalità di interazione tra lo Stato e la Chiesa: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Qualsiasi modificazione dei Patti, bilateralmente accettata, non richiede procedimento di revisione costituzionale». Su questo secondo comma il dibattito fu più acceso, stanti le diverse obiezioni avanzate dallo schieramento contrario e l’intransigenza che caratterizzò, sul punto, quello favorevole. Sulla fermezza dei democristiani (mantenuta nonostante le personali riserve di alcuni dei suoi esponenti di rilievo) ebbero un peso notevole le direttive provenienti dalla Santa Sede. A tale proposito appare illuminante un appunto di Giacomo Martegani, direttore della Civiltà Cattolica, nel quale il padre gesuita annotava il contenuto di una conversazione con Pio XII (si tratta di una Nota del Diario delle consulte della “Civiltà Cattolica” del 25 febbraio 1947 conservata nel fondo Martegani) durante la quale il Papa gli aveva espresso le sue opinioni in materia: «Col Santo Padre si è parlato della Costituzione italiana e delle incertezze che, anche tra i democristiani, sono affiorate durante i dibattiti delle commissioni. Il pensiero del Santo Padre è il seguente: bisogna sostenere ad ogni costo che i rapporti tra Stato e Chiesa siano regolati dai Patti Lateranensi e non da un qualsiasi altro regime concordatario e che siano riconosciute l’unità della famiglia e l’indissolubilità del matrimonio; sostanziali modifiche sono da ottenersi per gli articoli concernenti il diritto di sciopero, la parità dei figli illegittimi con i figli legittimi e alcuni ostacoli di ordine morale alla parità giuridica dei cittadini. Altre modifiche, meno importanti, per le quali dovranno impegnarsi i deputati cattolici, riguardano il testo dell’articolo dedicato alla revisione bilaterale dei Patti Lateranensi, il riconoscimento dei titoli nobiliari pontifici e l’avocazione allo Stato dei beni della Chiesa».
Pio XII non si limitò a esprimere le sue opinioni in colloqui privati, ma, già nell’estate del 1946, chiese ai redattori della Civiltà Cattolica di intervenire attivamente, con articoli «ben studiati», per orientare i deputati chiamati a elaborare la Costituzione. Non solo. I padri della Civiltà Cattolica furono incaricati di redigere uno schema generale di Costituzione riguardante la materia religiosa da sottoporre al più presto alla sua attenzione. Tale schema fu consegnato al Papa il 25 ottobre 1946. Si trattava in realtà di tre diversi schemi, volti a identificare un «Programma desiderabile», un «Programma accettabile o medio» e un «Programma non accettabile dalla Santa Sede. Minimo assoluto cui i cattolici potrebbero per sé collaborare». Nella lettera che accompagnava il lavoro dei padri gesuiti, padre Martegani, oltre a illustrarne il contenuto, annotava due osservazioni: «La prima riguarda una deficienza insopprimibile del lavoro e cioè l’impossibilità di definire e di codificare tutte le possibili sfumature intermedie fra i tre programmi qui ipotizzati e che bisogna lasciare necessariamente alla sapiente elasticità, diremo così, dei “contrattori” nelle discussioni concrete che porteranno alla formulazione del compromesso concordato». Nella seconda osservazione raccomandava di far conoscere ai «contrattori» il «limite estremo» cui sarebbero potuti arrivare nella loro opera di mediazione. La destinazione di quegli schemi era duplice: da una parte l’autorità ecclesiastica, che veniva così informata in materia, dall’altra i deputati cattolici eletti nella Costituente, che potevano giovarsi di un duttile strumento di lavoro.
Il Papa fece passare il lavoro dei gesuiti al vaglio della Segreteria di Stato, in particolare di monsignor Angelo dell’Acqua, che sarebbe diventato sostituto di Stato con Giovanni XXIII e che, verosimilmente, fece partecipe del suo lavoro anche Giovanni Battista Montini. Monsignor dell’Acqua di fatto bocciò i progetti più restrittivi e, in una lettera indirizzata a padre Martegani del 25 ottobre 1946, dopo aver espresso le sue considerazioni riguardo al Programma «minimo», obiettava: «Le altre due formulazioni, a base delle quali sta il mantenimento dei Patti Lateranensi (pur ammettendo una eventuale modifica del Concordato), mi sembrano troppo dettagliate. Inoltre gli articoli sanno troppo, mi sia lecito così esprimermi, di “canonico”, il che può urtare la suscettibilità, non piccola, degli avversari. Sta bene che conviene far entrare nella Costituzione il maggior numero possibile di affermazioni di carattere religioso, ma non so se sia il caso di scendere a troppi particolari, non potrebbero bastare affermazioni un po’ generali che salvano sostanzialmente tutto, pur lasciando i dettagli alla legislazione speciale nelle singole materie?». Le obiezioni di monsignor dell’Acqua furono probabilmente condivise a più alto livello, tanto che fu fatto circolare solo il terzo schema, quello appunto indicato come «minimo desiderabile». Il testo fu fatto pervenire ai deputati della Democrazia cristiana chiamati a presiedere le commissioni o designati come relatori, come Aldo Moro, Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira, ma giunse anche nelle mani di esponenti cattolici eletti nelle file di altri partiti con i quali padre Martegani intratteneva da tempo rapporti personali, tra cui l’onorevole Ottavio Mastrojanni, capogruppo dei deputati dell’Uomo qualunque, e il liberale Roberto Lucifero. Destinatario dello schema elaborato dalla Civiltà Cattolica fu certamente anche il liberale Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75 (incaricata di elaborare il progetto di Costituzione da sottoporre all’approvazione dell’Assemblea costituente), che aveva chiesto al Vaticano un parere sulle materie di interesse religioso che dovevano essere trattate in sede di Costituente.
Episodio in sé forse minimo, la vicenda dello schema tripartito di Costituzione prodotto dai padri gesuiti appare indicativo di come la Santa Sede seguisse con sollecitudine i lavori della elaborazione della Carta costituzionale. Ma anche di come, pur conservando una posizione ferma sui principi irrinunciabili, partecipasse di quel clima, condiviso dalle varie culture e forze politiche chiamate a costruire la nuova Repubblica italiana, che portava a privilegiare il dialogo allo scontro, la ricerca di convergenze al confronto duro, il compromesso alla rigidezza ideologica.
Il mensile 30Giorni ha ritenuto utile ripubblicare la bozza di Costituzione elaborata dai gesuiti, nella parte effettivamente fatta circolare allora. Piace concludere questa introduzione sperando che questa piccola testimonianza di una Chiesa sollecita verso la res publica, ma lontana da pretese confessionali, sia di qualche utilità anche oggi.



Español English Français Deutsch Português